Ha un bel dire il tenero duro Letta che l’Europa ci guarda, come i bambini di De Sica padre e Zavattini, magari in maniera un po’ più occhiuta. Purtroppo il realismo del nostro ceto politico non è neo e neppure di una qualche rilevanza artistica come la produzione cinematografica dell’immenso duo. Il Pd più che un partito sembra una gara di rutti. Si alza uno la spara grossa, gli altri fingono di scandalizzarsi e sghignazzano sottecchi. Zanda parte con l’ineleggibilità di Berlusconi, la Finocchiaro colpevolmente sottratta al carrello dell’Ikea (su quello dei bolliti forse c’è ancora un posticino), rilancia con la legge anti Grillo alle elezioni. Renzi è un Lucignolo livido che vede allontanarsi il suo paese dei balocchi. Si capisce come sia facile, in questa palude, che il Cavaliere possa dismettere l’imbolsito doppiopetto e indossare la grisaglia da statista per conto terzi: quello che ti toglie l’Imu e indica la via al Milan per passare dalla zona B alla Champions. Poi sistemerà i conti con Letta junior come già sta facendo con Max Allegri. Per fortuna ci sono quelli del grottesco Pdl ad abbassare la media. Anche è tutto un florilegio di scelleratezze: un condono qua e là, una leggina per salvare Dell’Utri dal gabbio, una sordina alle intercettazioni che non fa mai male. Insomma, un modo neppure troppo elegante per far veder rosso al toro. Forse è questo l’obiettivo del Cavaliere statista-imputato-condannato. Creare le condizioni perché Letta sia abbattuto dal fuoco amico e tornare al voto prima del verdetto di appello al processo Ruby o alla pronuncia della Cassazione su quello Mediaset. Dice: ma come non è ineleggibile? Altroché. Lo è dal 1994 e pure prima. In buona parte dei Paesi al di sopra dell’Equatore (Africa esclusa e neppure tutta) manco si sarebbe potuto candidare senza districare la matassa dei suoi conflitti di interesse. Ma da noi, quando riesci a costruire un blocco sociale forte, anche le eccezioni prevalgono sulle leggi, specie se hai un nemico compiacente che ti salva la ghirba in nome della libertà di Puffi. Vecchie storie. Che pesano un po’ ancora. Anche perché i protagonisti sono sempre in giro. Beh, ci sono pure quelli nuovi: il grillini. Anche loro devono baciare la terra dove cammina la Finocchiaro con il carrello dell’Ikea trainato dalla scorta. Senza quell’insperata proposta di escludere i movimenti dalle elezioni, i Cinque Stelle con le loro diarie, i loro amici-nemici a giorni alterni, i loro capigruppo a simpatia costante, le zazzere di Grillo e Casaleggio sarebbero già ai confini di quell’iperuriano della politica in cui già è caduto il centro (ah il centro, signora mia!) con Monti e tutte le salmerie. Viene da chiedersi dove siano finiti quelli che in Parlamento, nel giorno dell’insediamento del Napolitano bis. si spellavano le mani e si davano di gomito di fronte al più colossale cazziatone che un presidente della Repubblica abbia mai rifilato al ceto politico dopo il celebre messaggio di Francesco Cossiga alle Camere nel 1992. Sono gli stessi che oggi continuano impudenti e impuniti a porre le proprie bottegucce davanti agli interessi di un Paese allo stremo? Tra un’esternazione, una comparsata a Ballarò o a Porta Porta, un fendente dalla Gabanelli, un blog da aggiornare un a giudichessa da evitare, quel che resta di un partito da conquistare ci sarebbero anche quelle riforme sempre più in formato Araba Fenice. Ma è impossibile che un ceto politico incapace di cambiare se stesso possa trovare di colpo la statura per cambiare l’Italia. Sarà per la prossima volta, se sarà rimasto ancora qualcosa da riformare.
Franceso Angelini