Primo insegnamento, non fidarsi dei sondaggi. Nel caso delle elezioni comasche, i cervelloni dei trend elettorali ci hanno propinato l’ennesima bufala rappresentando un panorama elettorale lontanissimo dalla realtà. L’errore, va da sé, è parte di ogni seria ricerca scientifica ma in questo caso si è rivelato talmente grossolano che vale la pena chiedersi quanto questo genere di strumenti sia utile ad analizzare gli orientamenti dell’opinione pubblica e quanto invece, il più delle volte, non diventi un’arma di esclusiva propaganda.
La riflessione è aperta, così come quella sull’affluenza. Il tema vero di questa tornata elettorale è che il futuro sindaco, al di là della coalizione politica, rischia di essere indicato da una piccola minoranza di cittadini. Al di là della legittimazione formale, un primo cittadino eletto dal 16% degli aventi diritto non può non sentire l’onere di mettere al primo punto del suo mandato la missione di riconquistare parte dei cittadini non tanto alla propria causa ma a quella della vita pubblica.
Il non voto, in talune circostanze, può essere un’opzione politica, in questo sembra più un segnale di stanchezza, disillusione, scoramento. Tutti stati d’animo che in una comunità, ancorché piccola e per tanti aspetti fortunata come la nostra, rischiano, se ignorati, di creare una voragine tra le istituzioni e i cittadini.
Altra indicazione che lascia questo primo turno è la richiesta di un svolta che arriva dagli elettori comaschi. Il risultato di Alessandro Rapinese, che in cinque anni ha quasi raddoppiato il numero di voti, intercetta e interpreta con efficacia la delusione accumulata negli ultimi quindici anni sui grandi temi cittadini (Lungolago e Ticosa) ma anche sull’ordinaria amministrazione.
Se a Rapinese aggiungiamo i consensi dei 5 Stelle stiamo parlando di un elettore comasco su tre. Un messaggio anche questo per il futuro sindaco affinché non cada nella tentazione di ripescare qualche bollito di ritorno per la squadra o di mettersi nelle mani dei partiti nella strategia di governo.
Il primo cittadino dia dimostrazione di autonomia, subito, nei primi fondamentali atti di governo come la nomina degli assessori. Como si trova in una situazione di emergenza e in questi frangenti – Landriscina lo sa bene in virtù dell’esperienza professionale – non si può dar corda a incompetenti e raccomandati.
Ora altre due settimane di fuoco. La partita è aperta. Il centrodestra è avanti ma si riparte da zero. Traglio ha innanzi tutto la necessità di compattare il centrosinistra (circostanza non scontata dopo i veleni della prima fase di campagna elettorale). In ogni caso, per entrambi i competitor, sarà decisivo conquistare parte dell’elettorato di Rapinese. Un’impresa non facile: i portavoce della lista civica, così come farà nelle prossime ore Alessandro Rapinese, hanno già suggerito di andare al mare e lasciare che i partiti se la giochino da soli.
E allora serve, soprattutto alla città, un sindaco in grado di convincere non tanto e non solo le forze politiche (specie quelle che per scelta tattica o convenienza) non hanno alcuna intenzione di prestare ascolto. Ma che metta al centro della sua opera di persuasione i cittadini.
Sarà questa, più che le inevitabili schermaglie da copione (ma attenti a non esagerare, la nausea è già al livello di guardia), la mission dei prossimi 15 giorni. Se fossimo sulla luna si potrebbe quasi auspicare un patto bipartisan fra Traglio e Landriscina per riavvicinare i comaschi a quella partecipazione che, Gaber ci insegna, coincide con la libertà. Senza rimandare l’incombenza all’elezione.
Ma ci troviamo sulla Terra, non in assenza di quella gravità che ci costringe a scendere verso il basso. E allora cari candidati, cercate di stupirci, di attrarci e di incuriosirci. Il pericolo, infatti, non è di quelli da trascurare. Avere come futuro sindaco, in cinque anni assolutamente strategici per il futuro di Como, un Visconte Dimezzato, sarebbe solo spreco e danno.
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