Che con i santi non è il caso di scherzare, lo dice il proverbio. E qualche volta sarebbe il caso di prestargli ascolto. Dove vogliamo andare a parare? Beh, ieri era San Giuseppe in abbinata con la festa dei papà. Dove hanno trascorso gran parte della loro giornata i genitori maschi non in età pensionabile e non disoccupati o cassintegrati o in mobilità? Non con i loro figli che sono andati a scuola o al lavoro come i genitori.
Dice: che c’è di strano? C’è che padri e figli di una generazione fa, il 19 marzo lo potevano trascorrere assieme. Perché era festivo. Come il 4 ottobre, San Francesco patrono d’Italia o il 29 giugno, San Pietro e Paolo (neppure durante il settennato di Giorgio Napolitano che celebra il compleanno quel giorno la festività è stata ripristinata), ma anche l’11 febbraio, anniversario dei Patti Lateranensi tra lo Stato italiano e la Chiesa siglati nel 1929 dal cardinal Gasparri e Benito Mussolini, poi superati dal Concordato firmato nel 1984 dal cardinale Casaroli e Bettino Craxi. Quest’ultimo anniversario però non è mai entrato nella squadriglia delle date segnate in rosso sul calendario.
Perché già all’epoca si era deciso di abolire gran parte delle festività infrasettimanali tra cui, appunto, quella di ieri, del papà (per le mamme è un’altra faccenda, la loro ricorrenza la si fa sempre coincidere con una domenica che sarebbe un po’ anche una discriminazione nei confronti di noi maschietti).
Erano i tempi della Milano da bere, l’Italia usciva, come oggi (forse, si spera, facciamo tutti gli scongiuri...) da una crisi economica oltre che dalla stagione del terrorismo. La parola d’ordine era produrre, lavorare di più per rendere competitivo il paese. I tweet, tanto cari all’attuale premier, non esistevano ancora. Ma lo slogan con cui l’allora presidente del Consiglio, Craxi, cercò di spingere il paese:“La nave va”, ispirato da un’opera di Fellini, non era così diverso dal renziano, “dai che ce la facciamo”.
Questo lungo preambolo per spiegare come quella “invasione di svizzeri ” (termine giornalistico un po’ abusato, mica sono arrivati con balestre e mele da mettere in testa ai passanti) in città e nel Comasco, si deve proprio a questo. Le festività durante la settimana, quasi del tutto abolite da noi, sono rimaste intonse in Ticino al di là del confine. E anche se loro il Papa in casa non ce l’hanno, di quelle religiose non se ne perdono una. Da San Giuseppe, appunto, all’Ascensione, alla Pentecoste, al Corpus Domini, a Ognissanti.
Peraltro l’invasione, dopo l’impennata del superfranco è una manna dal cielo per la nostra piccola economia. Perché i nostri dirimpettai festaioli arrivano qui per comprare e spendere.
Resta da chiedersi come faranno ad avere tutti questi quattrini in tasca gli svizzeri, visto che, con tutte le feste religiose e civili che si ritrovano sugli almanacchi, non resterà loro molto tempo per produrre. E invece no. Dallo stato della loro economia si evince l’esatto contrario. Altrimenti che bisogno avrebbero di tutti i lavoratori frontalieri comaschi e non che ieri hanno potuto fare festa?
Da noi invece la produzione negli ultimi anni segna una discesa quasi costante. Nonostante tutte le feste cancellate. Sarà mica vero che non i santi è meglio non scherzare?
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