Enrico Letta ha disinnescato la bomba della seconda rata Imu (che non si pagherà) e smussato le incomprensioni con Fabrizio Saccomanni ben sapendo che la vita del governo in questo momento dipende dagli impegni presi con la manovra economica. Angelino Alfano, finito sotto il fuoco amico del Pdl, ne ha bisogno per portare qualche risultato agli oltranzisti berlusconiani, ammesso e non concesso che ciò possa servire a qualcosa.
La frattura interna al centrodestra, infatti, sembra ormai consumata. Nemmeno il recepimento di direttive europee sulla responsabilità civile dei magistrati, il «revisionismo europeistico» ventilato da Fabrizio Cicchitto, la riforma della legge di stabilità su tasse e cuneo fiscale, sembrano più bastare ai lealisti: come ha fatto sapere Raffaele Fitto, al prossimo Consiglio nazionale si voterà sul documento di Berlusconi perché «serve un’unità reale e non di facciata» Ma unità su che cosa? Il punto è sempre lo stesso: secondo i falchi il voto sulla decadenza del Cavaliere dovrebbe comportare l’uscita automatica dal governo, secondo le colombe no perché ci andrebbe di mezzo il Paese. L’ultimo vis à vis tra Berlusconi ed Alfano si è concluso male, con il vecchio capo e l’ex delfino schierati sui due fronti contrapposti.
Naturalmente nessuna decisione definitiva è stata ancora presa e non si può escludere che il leader possa ripensarci all’ ultimo momento, come già accaduto il 2 ottobre sulla fiducia al governo. Ma ciò che complica lo scenario è la lotta senza quartiere apertasi nel partito. È vero tuttavia che il Cav non sembra poter ottenere nessun vantaggio da una scissione della sua creatura politica: non riuscirebbe infatti a far cadere l’esecutivo, si troverebbe rinchiuso in una ridotta senza nessuna via d’uscita e non avrebbe più nessuna possibilità di incidere sulle scelte governative. Ciò lascia ancora qualche spazio ai pontieri che finora, come ha detto efficacemente Paolo Romani, hanno preso schiaffi da tutte le parti.
Al di là delle iniziative assunte anche in sede europea, resta il fatto che l’imminente interdizione dai pubblici uffici costringerebbe comunque il Cavaliere a lasciare il suo seggio in Senato. Ciò fa capire che il braccio di ferro è soprattutto sulla natura del partito e sul suo controllo, dal momento che il fondatore ne vuole mantenere il timone anche dagli arresti domiciliari o dai servizi sociali. Ed è su questo fronte che si gioca la vera partita: i cosiddetti «innovatori» non hanno intenzione di prendere ordini dagli estremisti, questi ultimi a loro volta non credono nella possibilità di una sopravvivenza una volta che Berlusconi fosse cancellato dalla scena politica.
La conclusione di questa battaglia non è indifferente per le sorti del premier. Se si dovesse consumare una scissione a destra, gli alfaniani da soli non sarebbero in grado di garantire una tranquilla navigazione parlamentare per il semplice motivo che anche Scelta civica rischia di dividersi a metà sul disegno di creare il Ppe italiano. E dallo stesso partito di Letta giungono ogni tanto venti di crisi.
L’attacco «retroattivo» di Matteo Renzi al ministro Cancellieri è un segnale lanciato a palazzo Chigi: il preannuncio di un cambio di strategia sulle larghe intese, se il sindaco rottamatore diverrà segretario (come pronosticano tutti i sondaggi).
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