Caro direttore,
era tutto in una foto, il dramma e la speranza. Quella foto mostrava una giovane mamma con in braccio il suo bimbo mentre guardava dalla fessura di una tenda blu, di quelle usate dalla protezione civile nelle emergenze. Il 6 aprile 2009 alle 3.32 la terra aveva tremato a L’Aquila e dintorni, un terremoto devastante che non ha fatto sconti: 332 vittime, 1200 feriti, paesi distrutti, migliaia di sfollati. Fra i quali c’era la mamma che con gli occhi sbarrati non fissava le macerie, ma semplicemente fissava noi. Tutto è nato così, in redazione, davanti a quello scatto.
Abbiamo capito che non avremmo potuto limitarci a preparare pagine di giornale, a organizzare il lavoro dei cronisti, a trasformare l’umano trasporto verso gli abruzzesi in ginocchio in commenti più o meno emotivi. Serviva qualcosa di più, un salto di qualità che solo il cuore ti aiuta a fare, nel nome e nel ricordo di chi aveva saputo farlo prima di noi. La storia del giornale ci ha aiutato. Con Gianni De Simoni, La Provincia aveva saputo scrivere pagine di solidarietà autentica chiamando all’appello i lettori a stringersi attorno a un popolo ferito. Grazie ai comaschi, ai lecchesi, ai valtellinesi, oggi esistono due Villaggi Lario a Oseacco di Resia (in Friuli) e a San Mango sul Calore (in provincia di Avellino), testimonianze di legno e pietra della generosità e della laboriosità della nostra gente. Quel giorno in redazione noi abbiamo deciso di ripercorrere quel cammino. Abbiamo varato la sottoscrizione “Un salvadanaio per l’Abruzzo”, abbiamo deciso di affiancarla a quella foto-simbolo e subito abbiamo ricevuto risposte straordinarie. Istituzioni, associazioni, enti, banche, aziende, amici hanno reagito con slancio. Ma soprattutto, agli sportelli, abbiamo notato le persone comuni, i nonni con i nipotini, i lettori più affezionati donare ciò che potevano per aiutare quelle tante mamme con i loro bambini in braccio a uscire dall’incubo.
La solidarietà è stupendamente contagiosa e in un anno - anche grazie al cinque per mille - siamo riusciti a raccogliere una somma sufficiente per realizzare qualcosa di concreto nel nome dei lettori de La Provincia. A quel punto è diventato prioritario individuare un progetto sul quale far confluire il finanziamento. E ancora una volta ci è venuta in soccorso la cronaca. Abbiamo scoperto che a Poggio Picenze, paese il cui centro storico era stato distrutto dal sisma, due mamme e tre bambini erano morti sotto le macerie. Con i loro nomi e nel loro ricordo abbiamo deciso di intervenire lì e di realizzare un Centro di aggregazione per giovani e anziani con biblioteca multimediale. Quello che state vedendo in fotografia da alcuni giorni e che oggi viene inaugurato e donato al paese. Perché? Un luogo di aggregazione e di confronto è indispensabile per restituire un senso di comunità. E perché, come recita un antico proverbio Masai, i giovani corrono veloce, ma gli anziani conoscono la strada.
Sono trascorsi cinque anni dal momento della decisione, il percorso in tandem con “La partita del cuore” (la nazionale cantanti e artisti che ci ha affiancato) è stato lungo e in qualche caso accidentato. Abbiamo vissuto momenti di esaltazione e di sconforto, esattamente nelle dosi che la vita riserva a tutti. Abbiamo percorso decine di volte quella strada per partecipare a summit, consigli comunali, incontri programmatici, briefing tecnici. Abbiamo visto il maestoso spettacolo del Gran Sasso con la neve, col vento, con i riverberi del sole di luglio. E certamente possiamo confermare che dagli anni di De Simoni ai nostri la burocrazia pubblica ha fatto passi da gigante.
Ora il Centro è lì, progettato da un giovane architetto (Davide Feltrin) recentemente premiato da Renzo Piano. E siamo felici di consegnarne le chiavi al sindaco di Poggio Picenze. È facile individuare la costruzione. Sta su un poggio in mezzo al verde - come i tanti che caratterizzano il paese -, con la vista su un parco di fronte alla stupenda chiesa del ’400 intitolata a San Felice martire. Quando passate da quelle parti fate una deviazione, ne vale la pena. All’ingresso c’è una targa che ricorda chi ha realizzato l’opera. Parla anche di voi, cari lettori. Toccatela, fa bene al cuore.
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