L’abuso di alcolici tra gli adolescenti è ormai un fenomeno evidente. Basta farsi un giro con gli occhi attenti ad una delle tante movide sparse sul territorio. Nessuno si nasconde, perché in fondo è considerato normale. I ragazzini si sbronzano perché solo così hanno l’illusione di essere felici, di far parte del gruppo. Lo si fa alla luce del sole e nessuno ne è consapevole. Non lo sono i ragazzini e spesso, non lo sono le loro famiglie. Ma basta leggere le centinaia di lettere di ragazzi usciti da questo tunnel buio per capire che forse è il momento di aprire gli occhi. «Ricordo quando bevevo- racconta Alice- per far tacere l’ansia che mi rodeva lo stomaco. Ma quell’ansia non finiva mai. E così bevevo sempre di più finchè tutta la mia vita è annegata nell’alcol».
Le statistiche che spesso sono così inutili, in questo caso ci aiutano a capire e leggerle è come ricevere un pugno nello stomaco. Il 23% dei ragazzi che abusano di alcol lo fa perché cerca la felicità, un altro 18% perché è alla ricerca di un migliore rapporto con gli altri, altri per noia e tantissimi per fuggire dalla depressione. Sono parole che indicano una verità drammatica. Non si beve per gioco, l’abuso ha a che fare con la vita. Felicità, rapporti con gli altri, noia, depressione. Questa è la realtà nella quale vivono molti dei nostri figli. E dietro a tutto ciò c’è una solitudine di fondo, quel sentirsi spesso inadeguati nei confronti di una società, di una cultura, che spesso pretendono da te ciò che non sei.
La movida diventa così, per tanti, un rito collettivo di ribellione, una ricerca utopistica di una felicità illusoria. Oggi la sbronza per gli adolescenti non è il bicchiere di troppo che sfugge ma un rito per affrontare la socialità, per sentirsi protagonisti e non esclusi. Sentirsi protagonisti per qualche ora, sentirsi parte del branco illudendosi di non essere soli. Magari per qualcuno bere è semplicemente un modo per fare nuove amicizie. Ma tutto non passa attraverso la sfida della realtà, ma costruendosi una realtà parallela. E c’è un dato da non sottovalutare: il marketing delle industrie di alcolici considera spesso i giovani il target d’eccellenza.
Si calcola che in Italia siano cinquecentomila i ragazzini che sono sulla soglia dell’abuso. Quanti di loro abbiano superato quella soglia nessuno sa dirlo. Sono pochissimi quelli che dopo aver perso la testa e i confini della realtà, avvertono il pericolo ed accettano di farsi aiutare.
Dietro a tutto c’è anche la fragilità di tante famiglie che preferiscono negare l’evidenza o magari minimizzare come se in fondo l’alcol non fosse così pericoloso. Ma è difficile e pericoloso far finta di nulla perché la realtà non inganna mai.
Il 17% delle intossicazione etiliche registrate nei pronto soccorso riguarda addirittura adolescenti tra i 13 e i 16 anni. Sono state coniate nuove terminologie mediche. Una di queste è la “Drunkoressia” e riguarda ragazzine che mescolano sbronze e digiuno. Ci sono studenti che prima di entrare a scuola si fermano a bere un bicchiere al bar di fronte. Raccontare tutto questo sarebbe stupido e inutile se fosse solo per lanciare un allarme.
La fragilità di tanti ragazzi, la loro ricerca di felicità, la loro difficoltà di confrontarsi con la realtà, quel sentirsi soli di fronte alle sfide della vita, riguarda noi adulti. E’ una responsabilità di ciascuno di noi andare incontro a questi desideri ed abbracciarli. E’ una responsabilità di chiunque abbia a che fare con la loro educazione, la scuola in testa, accoglierli per quello che sono, con le loro debolezze, le loro speranze. Provare ad essere maestri, prima che giudici.
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