Ci sono molti modi di tagliare la spesa pubblica. Lo Stato può, ad esempio, ridurre i trasferimenti agli enti locali così come è avvenuto sistematicamente negli ultimi anni. I conti, a livello centrale, magari sono anche tornati ma il prezzo pagato dai cittadini è stato salatissimo.
Certo, anche nei Comuni ci sono sprechi e malversazioni ma in genere ogni euro sottratto a un sindaco si traduce in una pari compensazione che può concretizzarsi attraverso una riduzione dei servizi o un aumento delle tariffe praticate agli utenti vale a dire ai cittadini stessi.
Di recente ce ne siamo accorti tutti. Oggi l’addio a uno scuolabus, domani un asilo nido in meno, per non parlare dell’aumento delle tasse, da quelle sugli immobili a quella per la raccolta dei rifiuti che tecnicamente oggi è diventata tariffa. Una tale riduzione della spesa pubblica non è un grande affare per i cittadini anche per chi ha beneficiato di sconti e bonus fiscali perché alla fine dei conti, il più delle volte, si scopre che le agevolazioni sono uguali se non inferiori a ciò che gli enti locali sono costretti a riprendersi. Una mano dà e l’altra toglie in virtù di un amaro principio dei vasi comunicanti.
Ma c’è un’altra via per ridurre la spesa pubblica. Ed è la riduzione degli sprechi, dell’inefficienza. Si tratta di una via che potenzialmente può interessare molti settori della pubblica amministrazione, di sicuro quello delle società partecipate dagli enti locali, le cosiddette ex municipalizzate. Queste ultime – 4.800 in tutta Italia - fanno parte di una vera e propria accozzaglia di strutture come le 103 Ragionerie territoriali, le 103 Commissioni tributarie provinciali, le 107 sedi distaccate dell’Agenzie delle Entrate, le direzioni locali del ministero del Lavoro. E così via. Anche a Como, dove pure ci sono società partecipate virtuose capaci cioè di generare utili alla comunità, esistono casi di palese inefficienza. Posti buoni per distribuire qualche poltrona ai trombati dagli elettori oppure alle seconde file della politica come spesso è accaduto, anche nella seconda repubblica, per le realtà meno importanti.
Un caso, forse il più eclatante, è quello del Cpt - acronimo che sta per Consorzio pubblico trasporti - da anni una vera e propria scatola vuota che non gestiva più alcun servizio ma tra gettoni al consiglio di amministrazione, revisori dei conti e consulenti legali, costava ogni anno un piccolo tesoretto ai soci pubblici (160 mila euro è il conto di alcuni anni fa). Ora, in tempi in cui l’economia girava e le casse dei Comuni non erano esangui quanto ora, un tale genere di spreco, ancorché ingiustificato, poteva essere sopportato senza eccessivi sacrifici. Ora non più e si comprende bene la determinazione con cui da alcuni anni in particolare il sindaco di Cantù Claudio Bizzozero ha chiesto la chiusura della società. Che il destino della società fosse segnato lo sapevano anche i sassi ma ci sono voluti anni prima della liquidazione.
Intanto i soci, ovvero i Comuni stessi in primo luogo, si sono fatti carico delle indennità degli amministratori oltre a tutti gli oneri per la sopravvivenza della società stessa. Ora, finalmente, si fa punto a capo. Per una volta un taglio alla spesa di cui i cittadini non pagheranno il conto.
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