“Il potere logora chi non ce l’ha”, è un concetto che poteva valere per Andreotti e una buona parte dei suoi sodali nella Prima Repubblica. La Seconda, o Terza come preferite, sembra smentire la più celebre delle massime del Divo Giulio o Belzebù come preferite. Nella politica che passa oggi il convento, il potere logora coloro che lo detengono, chi più, chi meno. Persino una roccia come Berlusconi, sia pure dopo vent’anni, ha dovuto prendere atto dalla propria lenta ma inesorabile consuzione politica, forse cominciata proprio quando abbandonò la rivoluzione liberale per badare di più a sé e ai propri interessi, e si accinge a passare la mano.
Rischia di essere assai più rapido il processo di “consumo” di Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio, infatti, non sembra essere più così saldo nella sua posizione. Soprattutto, spesso negli ultimi tempi, appare assai diverso dall’arrembante rottamatore che con una serie di blitz aveva espugnato il Pd e il governo. A logorare Renzi, oltre alla situazione dei conti pubblici e di una ripresa ancora chimerica, può essere anche la campagna referendaria, quella che nelle sue originarie e forse anche attuali intenzioni avrebbe dovuto rappresentare il plebiscito per consacrarlo alla posterità. L’ex sindaco di Firenze ha commesso due errori e il meno grave è quello di essersi intestato la consultazione popolare sulla riforma costituzionale. Il peggiore è l’autocritica su questa scelta che ha rivelato un substrato di debolezza finora mai venuto a galla nella mitragliante azione del presidente del Consiglio.
Intendiamoci, se questa campagna referendaria è degenerata, le colpe non sono tutte di Renzi. È però evidente che i sostenitori del “no” sono costretti ad attaccarsi ad argomenti estranei al contenuto dello stesso referendum e tirare in ballo la riforma gradita a Napolitano, ovviamente allo stesso inquilino di palazzo Chigi, e al ministro Maria Elena Boschi. Altrimenti cosa dovrebbero dire? Di opporsi alla ratifica popolare delle riforme per mantenere una situazione attuale che fa ribrezzo a tutti e da cui non può essere lasciata fuori una legge elettorale che non consente la governabilità?
Insomma da qui a novembre si vedrà se Renzi è davvero quell’innovatore che può dare la sterzata che l’Italia attende dall’inizio della crisi economica o se un politico come tutti gli altri, esposto al logorio di un potere impotente di fronte alle grandi sfide che l’epoca attuale impone. Il referendum, insomma, potrebbe essere per il capo del governo quell’aperitivo promosso nei vecchi Caroselli con cui Ernesto Calindri, seduto a un tavolino da bar in mezzo al traffico cittadino, riusciva a combattere il “logorio della vita moderna”. Del resto, la riforma costituzionale si può discutere nei contenuti, che non sono tutte panacee e neppure disastri, ma sono comunque qualcosa. L’alternativa è restare come siamo e hai voglia dire che se ne potrebbe fare un’altra migliorativa. Questi sono treni che non passano quasi mai una seconda volta. Caso mai il vulnus che rischia di contribuire al logorio renziano almeno quanto il Pil che non viaggia, è la scelta di aver modificato la Costituzione a colpi di maggioranza.
Se la nostra “magna carta”, infatti, mantiene almeno nella prima parte ancora un’efficacia e un’attualità pur avendo ormai sulle spalle più di 70 primavere, si deve al fatto che fu costruita assieme da tutti i partiti, in testa i tre principali. Dc, Psi e Pci. Un evento che, nelle riforme, non si sarebbe più ripetuto.
Ma tant’è. E comunque, a fare le spese della massima andreottiana rovesciata, potrebbero essere anche coloro che più di ogni altro sono a oggi l’unica alternativa a Renzi: gli esponenti del movimento Cinque Stelle. Subito dopo la storica conquista del Comune di Roma, infatti, il logorio ha cominciato a insidiare la sindaca (così vuol essere chiamata ) Virginia Raggi. Vero oggi forse è meno difficile insidiare i primati olimpici di Phelps che governare una capitale che sembra rivivere i tempi del sacco dei lanzichenecchi. E poi sulla Città eterna e sul movimento Cinque Stelle sono puntati così tanti riflettori e fucili da far pensare che davvero la vittoria di Virginia sia stata agevolata da avversari che giocavano a “Ciapa no” proprio per infilare i pentastellati nel tritacarne del logorio e allontanare così da loro la prospettiva di un governo del paese.
Chissà. Forse però, se nella Prima Repubblica il potere logorava chi non ce l’aveva e ora accade il contrario, magari c’entra che i personaggi di allora con tutte le loro nefandezze palesi o occulte, l’arte del potere la apprendevano dopo un addestramento degno di quello dei marines americani prima di essere gettati nella pugna. Per conquistare la poltrona non bastava allora, strepitare nelle piazze mediatiche, c’era anche da studiare e faticare tanto. Perché comunque, anche nella politica, qualche volta, alla lunga si raccoglie sempre ciò che si semina.
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