C’è chi l’ha definita una scimmia. C’è chi ha detto che a Cantù non dovrebbe mettere piede “visto che non ci sono pomodori da raccogliere”. Qualcuno, ironico, ha sostenuto di voler fare un giro dal fruttivendolo. Altri, meno originali, hanno semplicemente manifestato l’intenzione di bloccare le strade per impedire il suo arrivo.
Si tratta di battute e considerazioni pubblicate negli ultimi giorni su Facebook da alcuni nostri concittadini sul ministro Cecile Kyenge che sarà oggi a Cantù. Ora, il format del social network non è adatto alla riflessione e dopo “l’orango” dell’ex
ministro Calderoli ogni sorta di idiozia razzista sembra scivolare via senza provocare stupore e indignazione. Ma fa pensare che in un territorio qual è il nostro, per tanti versi così avanzato e capace di aprirsi al mondo, risulti tuttora presente un background di tale arretratezza culturale. Un retroterra culturale che attraversa le classi sociali – non è vero che il razzismo appartenga solo ai disperati, agli esclusi, ai più penalizzati dalla crisi – le generazioni – non è vero che gli anziani sono più chiusi dei giovani – e anche gli schieramenti politici perché se è vero che la Lega è chiamata a chiudere la bocca con maggiore tempestività ai suoi militanti più beceri, è altrettanto certo che i pregiudizi non abitano solo lì. Anzi, proprio la presenza, questa sera con la Kyenge alla festa del Pd, del sindaco leghistissimo della leghistissima Varese, testimonia che è possibile e sacrosanto discutere fino allo sfinimento e senza le paranoie del politicamente corretto, di ius soli e politiche dell’integrazione e dell’immigrazione.
Nel luogo del confronto però non possono entrare battute, banane e tutto quel caravanserraglio di amenità e oscenità che si sono lette sui social network. Perfino allo stadio si è assistito, di recente, a qualche moto di indignazione di massa di fronte ai “buu” che accompagnano spesso i giocatori neri. Se ci siamo riusciti lì è legittimo aspettarsi che in tutti gli ambiti del dibattito pubblico – comprese le bacheche Facebook di parlamentari e amministratori locali – vengano subito cancellati insulti come scimmie e quant’altro. Con i razzisti non si parla, punto.
Poi, certo, sull’immigrazione è normale dividersi tra chi sostiene la necessità di favorire l’accoglienza e chi, legittimamente, chiede di andare nel senso opposto. Su alcuni elementi oggettivi c’è però poco da discutere. Forse non siamo un Paese meticcio quanto altri in Europa ma basta entrare in una fabbrica – sì, anche in una delle nostre fabbrichette brianzole – oppure in una scuola o anche in un bar per accorgersi che il mondo dei quattro continenti è già qui tra noi.
Si può osteggiare l’apertura dei negozietti stranieri e rammaricarsi che tanti nostri commercianti non ce la fanno a tirare avanti strozzati dal fisco e dalla crisi ma la libera impresa consiste anche in questo, in migliaia di negozi da quattro soldi con i quali migliaia di famiglie mantengono i figli, provano a far girare l’economia, eccetera.
Si può continuare a pensare che sarebbe bello un Paese più giovane, dove le coppie tornano a fare più di un figlio e mezzo a testa e le scuole si ripopolano di bambini, ma è certo che se non ci fossero i comaschi e i canturini con la pelle scura, gli indici demografici sarebbero andati sotto zero e parte dei nostri quartieri sarebbe più deserta e degradata di quanto è ora. Insomma, ognuno su questi temi la pensi come vuole ma sarebbe meglio se tutti non dimenticassimo che bisogna fare i conti con la realtà.
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