Ora che la corte d’appello di Milano lo ha assolto dalle accuse del processo Ruby, Silvio Berlusconi ha tutta l’intenzione di rigettarsi a capofitto nell’attività politica. Certo l’energia non è più quella di una volta, la voglia probabilmente nemmeno, le parole d’ordine si sono ossidate, le speranze afflosciate e il patrimonio elettorale si è ridotto, ma il vecchio combattente vuole che il finale di partita sia suo e non intende assolutamente cederlo a chicchessia.
Lo si capisce bene leggendo la lettera, pubblicata dal “Giornale” di famiglia con cui chiede a tutti gli ex componenti della Casa delle Libertà di provare a rimettersi insieme “per essere ancora competitivi”. Peccato che la prima risposta, quella di Angelino Alfano, sia stata negativa, almeno tatticamente negativa. Berlusconi nella lettera non parlava più di fare un nuovo partito ma nemmeno ipotizzava un semplice cartello elettorale: prefigurava semmai una sorta di patto federativo tra gli spezzoni in cui si è disperso il vecchio centrodestra. Il punto però è che tra questa mano tesa verso i transfughi e la realtà del cosiddetto Patto del Nazareno ci sia una sonante contraddizione: con Renzi infatti l’ex Cavaliere ha stabilito un accordo sulla legge elettorale che si basa su un punto chiaro ed inequivocabile, impedire ai gruppi nascenti nel centrodestra di venire alla luce superando soglie di sbarramento lasciate altissime a questo scopo. “Ci volevano strozzare nella culla” , ha detto Alfano, e qualche ragione il ministro dell’interno ce l’ha pure. £E dunque se vogliono dimostrare buona volontà’ comincino a ridiscutere di questo” ha aggiunto sapendo benissimo che il 4,4 per cento raccolto dal Ncd alle europee, per quanto non particolarmente brillante, è indispensabile per qualunque tentativo di ricomposizione cui Berlusconi aspiri.. È perciò che l’ex Cavaliere ha incaricato il fido Toti di lanciare qualche altro segnale di pace. Il primo è stata un’apertura sulle preferenze, da tempo chieste da Alfano e dai suoi; il secondo è la concreta possibilità che il prossimo candidato premier e leader, il centrodestra lo scelga attraverso lo strumento delle primarie. Ecco la vera scintilla della novità.
Finora le primarie ad Arcore erano considerate una specie di lesa maestà. Quando Alfano, ancora segretario del Pdl, provò ad organizzarle, Berlusconi prima lo fece trastullare per un po’ con il nuovo giocattolo copiato dalla sinistra, poi cancellò tutto d’imperio con due righe d’agenzia: “chi osa candidarsi ad un ruolo che è mio e solo mio? ” Ora la situazione è del tutto diversa. Berlusconi riconosce, e lo dice Toti, di non essere più’ candidabile, probabilmente non ne ha più neanche il desiderio, e dunque accetta che un domani si apra la gara tra quanti ardiscono di succedergli: Alfano, appunto, e poi Fitto, lo stesso Toti, e chissà’ chi altri. Insomma, il Signore di Arcore finalmente accetta che possa esserci un futuro dopo di lui. A patto naturalmente che il presente sia quello che lui stesso ha prefigurato insieme con Renzi: Forza Italia parte ineliminabile del processo riformatore da una parte; nessuna minaccia alle aziende e alle televisioni dall’altra.
Certo, in mezzo c’era anche la vecchia richiesta della grazia ma Napolitano ha già chiarito che non ne vuol sapere; in subordine, una riforma della giustizia sufficientemente di garanzia. Adesso il nodo però è soprattutto l’italicum da cambiare ancora una volta secondo le necessita’ berlusconiane. E chi glielo va a spiegare alla minoranza del Pd?
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