La scelta di dare tutto in mano ai legali probabilmente non è delle migliori. Primo perché precedenti iniziative del genere non hanno avuto alcun riscontro concreto. Secondo perché noi tutti, telespettatori e piccoli “azionisti” della Rai attraverso il canone di abbonamento, abbiamo un mezzo più efficace per protestare: cambiare canale.
L’amarezza del sindaco di Inverigo, Angelo Riboldi, è in ogni caso condivisibile. Il paese da alcuni anni si fa in quattro per riservare alla troupe della fiction “Una grande famiglia” la migliore delle accoglienze possibili e non meritava certo di venire definito, in prima serata, “un posto che è un po’ il buco del c… del mondo”. Sì, vero, si tratta di una definizione in bocca a un adolescente e c’è il contesto della fiction, resta però la gratuità di una battuta che associa al centro brianzolo, un’immagine negativa senza ovviamente alcun nesso con la realtà.
Non è il primo caso in cui il cinema ferisce le comunità locali. Solo un paio di anni fa, una situazione analoga, si è verificata con Virzì e il suo film “Il capitale umano”. Allora, per la verità, più che l’opera in sé, che non aveva pretese sociologiche, offesero la Brianza e Como le parole del regista in un’intervista a Repubblica. Virzì, in sostanza allora disse di avere scelto la Brianza perché era alla ricerca «di un paesaggio che sembrasse gelido, ostile e minaccioso». Poi su Como: «Città ricchissima che esprime il degrado della cultura con quel suo unico teatro, il Politeama, chiuso e in rovina. E che ha una parte importante nel film, come simbolo di un inarrestabile degrado e sottomissione al denaro».
Il presidente della Provincia di Lecco, Daniele Nava, minacciò una querela per diffamazione. Ovviamente una boutade, perché allora, come sarà nel caso di Inverigo, la via giudiziaria è tutto fuorché una soluzione razionale.
Ogni regista ha del resto tutta la libertà di pensarla come crede. Anche di dare attraverso la propria opera una rappresentazione stereotipata e sostanzialmente sbagliata delle comunità locali. Anche di sostenere vere e proprie scempiaggini. Anche di dire assolute banalità come immaginare la Brianza un territorio dove si professa solo la religione dei soldi.
Prendere del resto il Politeama ed eleggere la sua prolungata chiusura a vicenda simbolo del degrado morale dei comaschi è una falsificazione, ingenua, della realtà. La fiction del resto massacra volentieri la complessità della vita concreta e non solo da queste parti.
Basti pensare a un certo modo di raccontare il Sud che è sì un territorio con mille problemi ma non quell’indistinto panorama di sottosviluppo e arretratezza che emerge da tanta televisione.
Gli artisti possono sostenere la tesi che più amano, a noi resta la facoltà di valutare ciò che fanno una schifezza. Spegnere la tv o non andare al cinema non sono un potere da poco. A patto però che lo si sappia esercitare bene.
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