La camorra (e la 'ndrangheta, e la mafia) è soprattutto uno stato della mente che, per fortuna, non ci appartiene. Non a noi comaschi, lombardi di un nord che più nordico non si può, figli senz'altro di Giulio Cesare e dei Plinii, e ci mancherebbe, ma anche di Maria Teresa e della nonna del senatore Miglio, che contava le galline in tedesco.
Eterni brontoloni, sempre un po' scontenti e tendenti a un pessimismo se non cosmico senz'altro inguaribile, abbiamo anche il "pregio" di essere piuttosto polemici, dietrologi, anarchici quel tanto che basta a consentirci di riconoscere un autorità con spirito critico.
La scorsa primavera, giù a Castellamare, la processione del santo patrono si fermò davanti alla casa di un noto camorrista della zona per consentire al santo, e allo stuolo di fedeli che lo seguivano, di rendergli pubblico omaggio. Venne fuori un discreto putiferio, soprattutto perché l'arcivescovo, incalzato dalla stampa, cercò di minimizzare la sottomissione della sua comunità al signorotto feudale di turno, sostenendo che la sosta non intendeva omaggiare il camorrista ma la chiesa dedicata a Santa Fara, chiesa che in realtà si trovava qualche metro oltre.
Ora: ipotizzare anche solo lontanamente che a queste latitudini un ipotetico corteo religioso possa sostare in via, chessò, Vittorio Emanuele sotto la casa di un qualunque signorotto indigeno (a meno che non si tratti del sindaco, ma per tirargli le uova), è una solenne corbelleria. Semplicemente è roba che non ci appartiene.
E tuttavia della camorra - e della mafia e della 'ndrangheta - un po' di paura dovremmo averla anche noi. Non solo per le conseguenze che un reale radicamento del fenomeno potrebbe comportare per le nostre vite, quanto per l'energia, la determinazione e l'appetito con cui, negli ultimi anni, organizzazioni malavitose di questo genere hanno aggredito il nostro territorio. La "nostra" camorra non è quella di Castellamare: è una camorra che si mimetizza e che investe la sua impressionante disponibilità di denaro in attività le più insospettabili, piccole e grandi imprese, piccoli e grandi opere pubbliche, piccole e grandi attività che crescono, ogni giorno, vicino alle nostre case, mimetizzate dietro a volti insospettabili e mai per caso sorridenti, distesi, smaglianti. Non è un modello che vogliono esportare, non è la processione del santo né (forse) il regolamento di conti a pistolettate: quello che interessa è il territorio, la sua economia, le occasioni - decuplicate da questa lunga crisi economica - di investire nelle voragini imprenditoriali aperte da un sistema produttivo in eterno affanno. E allora occhio: perché senza vigilanza, senza un senso autentico della comunità e della legge, anche noi finiremmo per non essere più immuni da nulla. L'immunità che ci viene dalla nonna di Miglio non è eterna. Ha una scadenza, ed è anche un po' in affanno. L'abbiamo stancata noi, negli ultimi anni, con i nostri troppi "che sarà mai". Che sarà mai un po' di contrabbando, che sarà mai un po' di evasione, che sarà mai un po' di amianto dimenticato in Ticosa o un concorso pubblico taroccato. Perché ricordiamocelo: anche a Napoli, un tempo, c'erano i normanni.
Stefano Ferrari
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