non sappiamo se Como diventerà capitale della Cultura - ed è giusto fare tutti il tifo perché accada - ma da ieri almeno è certo che, guardandosi allo specchio, finalmente il capoluogo lariano si è riconosciuto: siamo la città di Volta. E non è poca cosa. Anzi, è un punto fondamentale per far crescere il turismo culturale.
La verità va cercata nel paradosso, dice un grande comasco (il poeta Giampiero Neri) che assieme al fratello (lo scrittore Giuseppe Pontiggia) e al cugino (Ezio Frigerio) rappresenta un eccezionale esempio di come questo territorio abbia saputo produrre talenti apprezzati dal mondo e abbia, invece, fatto un po' più fatica a riconoscerli e tenerseli stretti. Paradossalmente, è vero sia quanto ha sostenuto ieri mattina il sindaco di Como Mario Lucini, presentando il dossier per la corsa al titolo di “reginetta” del genio italico, cioè che la crescita culturale della città non si misura solo in euro ma in «ben altro», sia l’assunto del dibattito pomeridiano tra operatori riuniti all’Accademia Galli, ovvero che «con la cultura si mangia».
Il “ben altro”, lo spirito della città, l’attenzione per le iniziative culturali sia da parte di chi le organizza sia dei fruitori, è cresciuto in questi anni probabilmente più degli investimenti e, di conseguenza, dell’indotto creato da festival,eventi e rassegne. Ma anche il più disfattista dei concittadini riconoscerà che, se dieci anni fa ci si accapigliava su un alambicco posto sulla rotonda di Lazzago, e oggi ci si divide sul monumento di Libeskind in fondo alla diga foranea, un doppio passo avanti si è sicuramente fatto: si sono riconosciuti Alessandro Volta e il waterfront (per citare l’inglesismo con cui il lungolago è stato riportato nel dossier, forse per dimenticarsi delle paratie, la cui traduzione viene meno immediata) come simboli e vanti di questa città, da spendere a livello nazionale e non solo.
Chi aveva provato un po’ di imbarazzo lo scorso 18 febbraio, quando Google ricordò con un “doodle” (versione animata del proprio logo) che 270 anni prima era nato Alessandro Volta, mentre Como, luogo del lieto evento, se ne era ancora una volta dimenticata, oggi può alzare lo sguardo. Già a partire da questo weekend sono in programma diverse iniziative voltiane, con al centro il Tempio dei giardini a lago, che è stato scelto, assieme a Villa Olmo, come luogo della “rigenerazione” culturale cittadina da inserire nel dossier e da portare avanti a prescindere dalla vittoria o meno del titolo di capitale. Certo, dispiace che ancora una volta sia stata accantonata la Casa del Fascio e con essa lo straordinario potenziale attrattivo dei monumenti razionalisti e di Giuseppe Terragni: è un segno della debolezza di Como, che ancora non ha raggiunto la coesione e il peso (anche politico) per poter trattare il trasferimento della Guardia di finanza. Però si è cominciato a riconoscere una delle identità culturali fondamentali della città, quella degli scienziati-umanisti (Volta e, prima di lui, Plinio il Vecchio) e su questa a costruire un progetto sinergico, mettendo assieme e valorizzando anche il tanto che già c’è. Lo stesso si potrà (e dovrà) fare su Terragni e gli altri architetti innovatori della sua generazione, così come sugli scrittori che da Virgilio fino ai suddetti Pontiggia e Neri, passando per Stendhal, Mark Twain e Alda Merini, hanno lasciato tracce indelebili sul territorio, nonché sui registi che hanno interpretato e divulgato i nostri paesaggi, senza dimenticare i nostri progenitori golasecchiani e il patrimonio archeologico che ci hanno lasciato. Non basta la buona volontà degli operatori culturali che negli ultimi 15 anni hanno costruito rassegne e iniziative su tutto questo. Ma non basta nemmeno chiedere ai politici di fare di più e meglio o di elargire più soldi. Bisogna superare la “cattedra” che ieri ha separato amministratori e operatori culturali. La governance (altro anglismo risuonato a Palazzo Cernezzi) sarà partecipata solo se saremo davvero disposti a partecipare, operatori culturali, amministratori, e più in generale cittadini. Se Como diventa capitale della cultura, vinciamo tutti. In caso contrario, perderemo tutti solo se in questo percorso non avremo imparato a fare squadra e a fare impresa culturale. Questa sarebbe la più grande vittoria.
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