Enrico Letta ha subito commentato il risultato del voto amministrativo, del tutto favorevole al centrosinistra, sostenendo che esso rafforza il governo e la maggioranza di larghe intese Pd-PdL.
Affermazione più che ottimistica dal momento che proprio i numeri di questa tornata amministrativa fanno pensare ad una ripresa di protagonismo del partito democratico e dunque ad una nuova effervescenza polemica all’interno del governo che non potrà non mettere a dura prova le capacità mediatorie del presidente del Consiglio (e del Quirinale). Ma andiamo per ordine. In primo luogo, il numero dei votanti: basso, molto basso. Questo da una parte conferma ancora una volta la disaffezione del “pubblico” dalla politica. Ma anche che, in questa stanchezza generalizzata, chi resta più legato ai propri rappresentanti è ancora l’elettore di centrosinistra che va a votare mentre il suo dirimpettaio di centrodestra in gran parte ha preferito passare una domenica al mare o in campagna.
Questo è obiettivamente un punto a favore del partito di Epifani: benchè sia straziato da lotte intestine condotte senza pietà, benché versi in una grave crisi di identità politica, sempre sull’orlo della scissione o dell’implosione, sta di fatto che il Pd mette in campo un personale amministrativo in grado di chiamare più elettori alle urne e di farsi votare, essendo più radicato e probabilmente più affidabile. Persino quel marziano di Ignazio Marino a Roma ha aumentato di un terzo i propri voti mentre Alemanno sostanzialmente non si è mosso. E Roma è il caso più clamoroso della rivincita del Pd
Secondo elemento: il centrosinistra che vince ovunque, da Roma a Viterbo a Brescia, che mantiene Siena nonostante gli scandali, che umilia il leghista sceriffo di Treviso, è un centrosinistra fortemente alternativo al centrodestra, pronto a quell’alleanza con SEL che invece a palazzo Chigi è stata rifiutata.
“Questo” PD finora ha subìto nel governo la battagliera presenza di un PdL “alla Brunetta”, mandando giù bocconi amari nella consapevolezza amara di essere un partito a pezzi che da febbraio ad oggi le ha sbagliate tutte. Ora non sarà più così, è anzi probabile che a Brunetta più d’uno dal Pd risponderà a brutto muso.
E dunque, il PdL. Il partito di Berlusconi constata ancora una volta che senza Berlusconi, non va molto lontano: il suo ceto dirigente locale viene decimato, perde quasi ovunque e oltretutto vede il proprio tradizionale alleato leghista rinculare in tutte le piazze. Questo risultato che emargina il centrodestra dalle amministrazioni locali di tanta parte d’Italia farà aumentare il nervosismo soprattutto dei cosiddetti falchi che diranno: stare al governo con Letta ci fa perdere voti, torniamo in campo con Berlusconi prima di perdere il favore che i sondaggi ancora ci consegnano sul piano nazionale.
Vedete allora che i due elementi: PD ringalluzzito, PDL impaurito, non possono che portare aria di tempesta sul tetto di Enrico Letta.
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