Se la vita fosse un rendering, vivremmo in una città da favola. Con una passeggiata a lago da far invidia a Palm Beach, l’area Ticosa che potrebbe fare concorrenza ai nuovi quartieri milanesi, un tunnel subacqueo che renderebbe la chiusura al traffico del lungolario una passeggiata (in tutti i sensi), l’autosilo della Valmulini paradossalmente utile, vista la presenza di una moderna fermata della metropolitana leggera diretta verso il centro. Che bella, la Como di carta.
Il rendering, per dirla da profani, è la fotografia futura del risultato di un progetto, quando (e se) sarà realizzato. Se mettessimo in fila tutte quelle fotografie scattate a ciò che sarà, Como avrebbe decisamente un altro aspetto. È lunga la serie di rendering che si sono rivelati delle promesse senza un domani: grattacieli in Ticosa e gaudenti Avatar a spasso per il lungolago protetto dalle paratie davanti a tutti.
Ieri pomeriggio la giunta ha presentato i progetti che hanno vinto il concorso per ridisegnare le aree che si sono ritrovate nella nuova zona a traffico limitato: dapprima piazza Roma e piazza Volta, quindi piazza Grimoldi e via Garibaldi. Tutto è opinabile e il gusto è ovviamente una questione tremendamente soggettiva, ma in alcune delle visioni di un futuro possibile presentate ieri pomeriggio a Palazzo Cernezzi si intravedono indubbiamente scorci di una città potenzialmente più bella e più a misura d’uomo, di un centro più grande e vivibile, di un’occasione di crescita. Il problema è che il rendering altro non è che un libro dei sogni. La realtà, e questa città lo sa purtroppo molto bene, spesso si rivela differente. E assai più deludente.
La dicotomia reale-virtuale, così ben nota ai comaschi, non riguarda esclusivamente l’incapacità (dimostrata finora) di portare a termine un’idea o un progetto. Ma coinvolge anche il baratro che spesso si forma tra quello in cui noi auspichiamo possa trasformarsi il nostro sogno e ciò in cui diventa realmente. L’esempio più eclatante è la domenica con il lungolago di Como libero dalle auto. Nella mente di chi ha organizzato l’iniziativa doveva essere ciò che si è visto in piazza Cavour e dintorni: famiglie a spasso là dove di solito s’aggirano moto e motori, bici e skateboard che viaggiano senza paura di essere travolti, bambini impegnati a colorare l’asfalto con le frasi del Don Giovanni.
Il problema è che il sogno di una parte della città non può tradursi in un incubo per un’altra consistente fetta di cittadini, i quali sono rimasti bloccati per ore nel traffico o sono stati costretti a convivere con la colonna di auto ferma sotto le finestre di casa, gas di scarico annessi.
La tempesta di reazioni e commenti scatenata dalla domenica a piedi con il sorriso sulle labbra o nel traffico con un diavolo per capello - a seconda delle esperienze personali - dev’essere letta dall’amministrazione come un appello: le conseguenze di sogni e progetti vanno valutate tutte. A tutti piacerebbe una città senza auto e traffico, con più spazi a disposizione per i residenti e i turisti, ovvero la Como che sembra di scorgere nei rendering presentati ieri. Manca, però, l’altra faccia della medaglia, magari meno poetica ma indispensabile perché il sogno di alcuni non sia l’incubo di altri: aree di sosta ampie e facili da raggiungere, un servizio di trasporto pubblico davvero competitivo, un piano complessivo della mobilità che possa davvero trasformare Como in una favola: e passeggiarono tutti felici e contenti.
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