Agli amici da alcune settimane aveva confidato di soffrire d’ansia e di non riuscire a dormire. Mercoledì sera un collega lo ha visto passeggiare in centro con la moglie. Poche ore dopo, passata l’alba, lo hanno arrestato.
La vicenda giudiziaria di Stefano Bruni, per dieci anni sindaco di Como, è troppo densa per essere raccontata qui. La vicenda politica si è chiusa nel maggio 2012 con l’uscita da Palazzo Cernezzi. La vicenda umana è oggi nel punto più basso. Ma che cosa si può dire di Bruni arrestato?
Sarebbe troppo facile oggi attribuirgli responsabilità su tutto, inveire contro di lui per lo sfascio in cui la città si trova, accusarlo per la Ticosa e per lo scandalo paratie con il lungolago inagibile per un cantiere inutile e bloccato da anni, rinfacciargli l’iniziale poca sensibilità per il caso del povero Rumesh. E chissà quante altre mancanze e forse colpe come primo cittadino di una Como che, come lui oggi, è prigioniera.
Ma prendersela con i vinti è da codardi. Accanirsi sugli sconfitti è ignobile.
Per questo su Stefano Bruni, arrestato per bancarotta, si possono dire alcune cose magari sorprendenti. La prima è un invito: non giudicatelo.
Lasciate che siano i magistrati a fare le inchieste, a celebrare i processi e a emettere le sentenze. Valga per lui, come per tutti, il principio costituzionale della presunzione di innocenza fino a condanna definitiva.
La seconda è una valutazione che richiede un ragionamento tra il Bruni sindaco, cioè politico, e il Bruni commercialista, cioè libero professionista. La domanda da porsi è se le sue disavventure giudiziarie, pur essendo totalmente slegate dalla sua decennale attività di amministratore pubblico, abbiano o meno una qualche relazione con quel ruolo così fortemente esercitato da Bruni. Se non ve ne è alcuna allora siamo semplicemente in un romanzo criminale. Se invece troviamo qualche rimando, anche solo psicologico, ecco che il suo dramma umano può avere un significato e dare un insegnamento a lui e a noi. Può essere, cioè, pedagogico e riservare a lui, e a tutti noi, una speranza. Bruni è stato un giovane prodigio: subito un assessorato importante nella Giunta Botta, gli incarichi in Acsm, poi l’elezione a sindaco con un grande consenso popolare e poi la trionfale rielezione.
Dieci anni da primo cittadino, dove primo non era solo un aggettivo. La scalata politica, il successo professionale, la fama e la vertigine del potere. Poi, da maggio 2012, il rientro nei ranghi. La discesa dal palco e il ritorno in platea.
Ci vogliono una forza incredibile e valori molto profondi per non restare disorientati. O perdersi.
Lui lo sapeva e in un’intervista a “La Provincia” alla fine del mandato, il 22 aprile 2012, alla domanda «Dunque, è finita...» rispondeva: «Sì, è stato entusiasmante, ma non avrò nostalgia. Resterò in politica, non so con che ruolo. Mi ritufferò subito nel lavoro».
In politica Bruni non ci è tornato. Nel lavoro ha infilato una serie di operazioni condotte sul filo sottile della legalità e quasi tutte lo hanno fatto finire sui giornali e in tv: sotto i riflettori per il tentato acquisto del Bologna Calcio, del Monza, la vicenda della concessionaria Sca, ora il caso delle agenzie di riscossione dei tributi. Ha rischiato troppo. Forse umanamente ha ceduto alla tentazione di trasformare le pietre in pane scordandosi che non solo di questo vive l’uomo. Forse si è fatto trasportare sul pinnacolo più alto ammirando e facendosi sedurre dalla promessa di regni sottostanti da governare.
Da lì il precipizio e lo scandalo, cioè la pietra d’inciampo. E le manette.
A Bruni che oggi, nel grigio di una cella, medita sulle sue azioni vorremo sussurrare che si può cadere e ci si può rialzare. Dalle tentazioni si può guarire. Nell’intervista di fine mandato alla prima domanda sulla frase biblica «Meglio la fine di una cosa che il suo principio. È così anche per Stefano Bruni dopo dieci anni da sindaco?» aveva risposto: «Intendo la frase di Qoelet che la fine svela il senso. Dire che è meglio la fine dell’inizio, non lo so. Ma è vero che la fine svela tutto e dà senso anche al percorso che uno ha fatto».
Ecco Stefano Bruni: per Como, per te, per tua moglie e i tuoi figli, il compito e la responsabilità di dimostrare che questa non è la tua vera fine.
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