Chi ha sempre lavorato

sa cos’è il lavoro

Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, è una nota nullità. Lo era da ragazzo, quando ha incarnato il plasticume discotecaro anni Ottanta, e lo è stato ancor più da adulto quando, sai che originale, ha preso la classica piega del cantautore all’italiana: verboso, antagonista, mondialista, moralista, sociologisteggiante, celentaneggiante.

Musiche da piangere, testi da ridere, anche se sorretti da un’invidiabile energia sul palcoscenico, banalità a nastro e patetico giovanilismo. Insomma, il classico maestro di pensiero da salotto radical chic, che gioca al rivoluzionario nel podere con carciofaia in Val d’Orcia. Ma se è così, è possibile che una volta nella vita che gli capiti di dire una cosa intelligente, parta la gara a prenderlo a gatti morti in faccia? Qualche giorno fa, durante un incontro con gli studenti universitari di Firenze, ha raccontato che da ragazzo gli è successo di lavorare gratis alle feste di paese, si è divertito come un pazzo e ha imparato a essere gentile con le persone: “Per me quel volontariato era una festa, anche se lavoravo alla sagra della ranocchia: mi dava qualcosa”. Apriti cielo. Passato un nanosecondo, sul rutilante mondo del web è partito il circo Barnum. E cialtrone e buffone e mascalzone e schiavista e sessista e squadrista e fascista e sfruttatore e vergognati tu con gli ottanta euro a biglietto per i tuoi concerti e servo dei padroni e delle multinazionali e dei poteri forti e fatti un giro in miniera che è meglio e vattene un mese a raccogliere pomodori nel Casertano che poi ce la racconti e vieni a casa mia a tinteggiarmi la parete a gratis e petizioni anti-Jovanotti e opinioni varie ed eventuali sulla professione di sua madre, sulle abitudini sessuali di sua sorella e millimetriche indicazioni su dove avrebbe dovuto infilare il suo nuovo cd. Questi i commenti più anglosassoni, il resto è pura Arcadia.

Ora, è noto che in questi anni la rete – per magica metempsicosi - ha preso il posto occupato una volta dai bagni del liceo o, meglio ancora, degli autogrill in autostrada: il primo ubriaco che capita, ci entra, la fa fuori dal vaso, non tira l’acqua e scrive sulla parete un sonetto dedicato alla ragazza che lo ha appena lasciato, al prof di latino che lo ha rimandato a settembre o alla squadra che gli ha rifilato due pere nel derby. Quindi non è il caso di farci caso. Il vero tocco di grottesco lo ha invece regalato lo scatto da chilometro lanciato di alcuni tra i più celebrati tromboni del giornalismo e del sindacalismo italiano, ai quali non è parso vero di imbastire l’ennesimo fervorino su queste popstar che danno un pessimo esempio alle nuove leve e che, insomma, signora mia, sono totalmente asservite al mainstream di questi anni bui, che obbliga i giovani a lavorare senza paga, senza diritti e senza tutele, nuovi schiavi di una società infame e classista che umilia e sfrutta e corrompe e bla bla bla…

Se si legge integralmente l’intervento del povero Lorenzo, senza fermarsi al titolo o alle prime tre righe come facciamo sempre, ci si accorge che non ha fatto altro che svolgere un ragionamento ricco di buonsenso, addirittura toccante nella velata nostalgia delle prime esperienze di vita, di lavoro, nelle quali un ragazzo alle primissime armi si arrabatta in mille imprese e mille interessi, la maggior parte dei quali fallimentari, gratuiti o sottopagati. Fa parte del suo romanzo di formazione. Prendere quella frase - anche se Jovanotti è un classe 1966 e quindi la sua gioventù è lontana mille miglia da quella di oggi, devastata dalla crisi - e costruirci sopra un pamphlet ideologico che teorizza il lavoro gratuito dei giovani è innanzitutto una falsità, ma soprattutto una stupidaggine. È ovvio che non ci deve essere sfruttamento e ci vogliono contratti veri e diritti e garanzie, e ci mancherebbe altro, ma è anche vero che esiste sempre un momento di passaggio - più breve negli anni delle vacche grasse, più sfibrante in quelli di recessione - in cui si fa un po’ di tutto, si sperimentano tante strade, ci si mette alla prova e, per natura, si lavora tanto e si guadagna poco. O magari niente. Certo che questa terra di mezzo va regolata da contratti tutelanti ma flessibili, per proteggere i ragazzi dai mascalzoni e al contempo non impiccare i datori di lavoro (vero, cari sindacati del secolo scorso?), ma il punto resta quello.

Provate a mettere insieme qualche ricordo. Chi di voi non ha trafficato, specialmente d’estate, per racimolare due lire per le vacanze, per comprarsi il motorino o ha addirittura sgobbato gratis per una causa comune sportiva, religiosa o associativa? Ripetizioni al figlio somaro del dentista, supplenze a scuola, taglio dei nastri per gli zaini del papà del tuo amico, raccolta delle mele in Trentino, consegna delle guide della Sip in alto lago, attacchinaggio dei manifesti del Pli (l’unico con i soldi) o scrutatore per il Pci (che invece ti soffiava la metà della paga, devoluta alla nobile causa) volantinaggio per i missini (dove si concentravano le ragazze più carine), inscatolatore di brioche nella fabbrichetta del paese, scribacchino a mille lire a pezzo per il bollettino della parrocchia. Sono solo le prime che vengono in mente e ognuno di voi avrà le sue. Che c’è di sbagliato, di orribile, di disumano? Che vuoi, posto fisso, quindici mensilità, settimana corta, bonus, benefit, lavatura e stiratura dal primo giorno di lavoro senza aver dimostrato niente agli altri e a te stesso di chi sei e di quanto vali? Senza aver vinto alcuna sfida sul mercato? Senza alcuna formazione? Questa non è democrazia. Questa è demagogia, della peggiore. Anzi, questa è Bulgaria.

E allora la verità è un’altra. A sua insaputa, Jovanotti ha detto cose che chi sa cos’è il lavoro e ha sempre lavorato, fin da studente, conosce benissimo. Chi ha bambocciato tutta la vita e adesso dà lezioni di etica alla macchinetta del caffè al catasto di Aci Catena, forse un po’ meno. Indovinate un po’ chi pensa positivo tra i due?

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@DiegoMinonzio

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