Con tutti i difetti che ha - pretenzioso, ingombrante, musicalmente obsoleto - come si fa a rinunciare al Festival di Sanremo quando, in pochi minuti, riesce a registrare con incredibile, miracolosa precisione lo stato in cui ci troviamo?
In Italia, si sa, tutto tende a diventare una metafora - la Costa Concordia che si inclina, lo spread che sale e scende a seconda del livello di scempiaggine del dibattito politico - ma nulla, e dicasi nulla, riesce a comporre un affollato ritratto di famiglia quanto il colorato e colorito affollamento di tipi che ogni anno ritroviamo, quasi a nostra scajoliana insaputa, sul palcoscenico dell’Ariston. Basta guardare lì per ritrovarli tutti, i personaggi di questa cangiante commedia che, vista da una parte, sembra la “Grande bellezza”, guardata da un’altra riecheggia un capitolo di “Gargantua e Pantagruele” e, a una certa ora del giorno, con la luce radente, assomiglia infine a una discarica abusiva.
Fuori c’è il “matto” Grillo che grida e fa una grande confusione, accusando la Rai - l’ente che sta per diffondere l’evento su tutto il territorio nazionale - di ogni possibile nefandezza. Lo ascoltiamo e gli diamo ragione, perché nelle cose che dice c’è del vero, ma poi ci sintonizziamo comunque su Raiuno. Un po’ come se qualcuno tenesse un comizio davanti al cancello d’imbarco, dicendoci che ci aspetta un aereo gestito da una compagnia di ladri e incapaci: le probabilità che cada sono pertanto altissime. «Ohibò ha ragione», pensiamo, ma saliamo lo stesso a bordo. E lui con noi!
Poi lo spettacolo incomincia - ed è certo uno spettacolo di canzonette - ma prima di tutto c’è qualcuno che grida e si contorce, minacciando di buttarsi di sotto. Il momento è drammatico, bizzarro e inaspettato: eppure, non è affatto inedito. Tanto che, mentre seguiamo l’episodio con il fiato più o meno sospeso, non pensiamo affatto alle ragioni dei disperati, non ci chiediamo da dove vengono e che cosa vogliono. No, il nostro interesse è assorbito dal presentatore: come riuscirà a cavarsela?
Non riusciamo neanche più a nasconderci dietro la scusa della intrinseca levità chiacchiere e delle battute: oggi ci sono i social network a registrare, con il loro indelebile inchiostro digitale, la nostra natura di speculatori spericolati: “Tutto organizzato” sentenzia uno; “Una tecnica per distrarci da quello che stanno combinando al governo” dice un altro, appena prima che un terzo raggiunga la chiosa: “Che cosa non si fa per zittirci!”
Ma, intanto, a dar fede a quel che vediamo nel televisore, il dramma si è già sciolto: Fabio Fazio in due parole è passato dalla crisi del lavoro alla speranza per il futuro, ci ammonisce a non dimenticare l’importanza della leggerezza, stabilisce che è un dovere far ripartire il Paese «ognuno svolgendo al meglio la sua professione» e aggiunge che, per farlo, è assolutamente necessario ascoltare una canzone di Arisa.
Ricapitoliamo: siamo sull’aereo più pazzo del mondo, ormai pronti a schiantarci, i lavoratori disperati minacciano di togliersi la vita. Ma noi guardiamo il “balcone fiorito” della Littizzetto, ascoltiamo la canzone di Frankie hi-nrg, e denigriamo il Givency di Laetitia Casta.
E poi abbiamo il coraggio di ridere perché Tito Stagno sembra un po’ spaesato. Almeno, lui ha la scusa di arrivare dalla Luna.
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