Equinozio d’autunno: se ne va l’estate del grande caldo, delle infinite notti insonni distesi sul letto coperti di sudore. Dicono però gli esperti che forse più calda di quest’ultima fu quella del 2003, quando l’aria arroventata di luglio portò alla morte molti alberi delle nostre montagne.
Ancora adesso si possono notare macchie ampie di grigio nel verde dei boschi. Anche questa estate però, secondo molti, è da record. Sono vecchio ma non ricordo un caldo forte durato così a lungo come quest’ultimo, cominciato ancora quando era maggio e scomparso di colpo: dal ventilatore alla stufetta elettrica. Quella “benedetta”, forse meglio dire “maledetta” colonnina del mercurio che ogni giorno crudelmente ha scalato le tacchette fino a sfiorare i 40 gradi e qualche volta anche a toccarli, chissà quante volte irromperà inesorabilmente nelle nostre piccole e grandi storie personali. Qualcuno di sicuro si sentirà addirittura un piccolo eroe per essere sopravvissuto brillantemente al grande caldo: «Ti ricordi che forno quell’estate del 2017, mai provata una cosa simile, ho creduto proprio di morire».
E avanti, con tutto sfoggio, tutta un’esibizione di ricordi legati all’estate rovente. E tutto questo è più che naturale. Il tempo inteso come condizione meteorologica era, una volta, l’argomento in cui si rifugiavano ai primi approcci le giovani coppie che si erano appena piaciute, per intavolare il discorso. Adesso vi sono ben altre scorciatoie per bruciare i tempi dell’amore.
Il “meteo”, in particolare quello del caldo eccessivo, sarà uno degli argomenti più ricorrenti nei nostri “conversari” . Ricorderemo dunque il gran caldo perché è un fatto eccezionale. Dimenticheremo invece le conseguenze tragiche dell’estate torrida, ovvero le tragiche alluvioni. Queste infatti in Italia non sono purtroppo un’eccezione ma quasi una normalità che si dimenticano in fretta. Ecco l’amara realtà del nostro vivere, ormai.
Le immagini di quest’ultima estate che mi sono rimaste dentro, solo di striscio, sono legate al caldo: una indisponente, l’altra confortante, consolante.
A giugno su un giornale o in Internet (non ricordo bene), mi è apparsa l’immagine di un gruppo di giovani ragazzi e ragazze che affollavano la sala del museo di Amsterdam dove è esposta con grande rilievo la celebre “Ronda di notte” di Rembrandt. Nessuno dei giovani, alcuni in piedi altri stravaccati, forse per il gran caldo, sugli scranni collocati appositamente per sostare e meditare sulla “Ronda”, si degnava di rivolgere uno sguardo alla stupenda opera, ma tutti avevano gli sguardi verso il telefonino. Un’immagine davvero brutta, più brutta del gran caldo che stava opprimendomi in quel momento.
Di certo deve essere andato in pensione il “guardiasala” della “Ronda” che c’era non poi tanti anni fa e che mi rimproverò brutalmente, assieme ad alcuni visitatori, quando, proprio lì nel cuore della galleria, squillò il mio telefonino. L’avevo dimenticato acceso. Guarda il caso era Bruno Profazio che mi chiamava perché era uscita una notizia sul sequestro di Cristina Mazzotti. Quel custode avrebbe sicuramente preso a pedate quei giovani che se ne fregavano di Rembrant.
A mezz’agosto invece ho vissuto a Bormio, sulla piazza, una serata da sollevare il mio umore oltre il caldo che faceva pure nell’estremo della Valtellina. Un folto gruppo di bambini, tutti piccoli, seguiva con grande partecipazione, urlando, ridendo, sollevando le braccia, le gesta di Gioppino che un burattinaio stava offrendo loro, con grande impegno e bravura: davvero un bel teatrino d’altri tempi. Mi sono detto: «Che bello: Gioppino vince ancora davanti a questi bambini. Altro che il cellulare, il Pad, il tablet e altri arnesi dell’era elettronica». Però nonostante il caldo tutto il mio entusiasmo si è un po’ raffreddato: «Purtroppo anche questi bambini diventeranno grandicelli e il loro Gioppino diventerà telefonino».
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