Cittadini diversi
dai politici. Meno male

Io so io e voi non siete un c...”. Lo diceva Alberto Sordi, impareggiabile Marchese del Grillo diretto da Mario Monicelli. E viene da chiedersi per quale dannata ragione la nostra politica, anche ai livelli non elevati, debba sempre ridursi a modello per la commedia all’italiana o Cinepanettone, come si dice adesso.

Non ci sono molti altri modi per etichettare la tragicomica uscita del consigliere comunale di Como targato Pd, Vito De Feudis che ha definito gli amministratori pubblici “non uguali agli altri cittadini” per rivendicare il privilegio di parcheggiare le loro carrozze (pardon automobili) a palazzo Cernezzi? Viva la casta:la trovi ovunque vai. Quale sarebbe poi la diversità? Di sangue, di censo, (quelle cose che valevano appunto all’epoca della Roma papalina del Marchese Del Grillo)? Oppure culturale? Ma va. Antropologica? Lombrosiana? Questo magari sì

Secondo il prode De Feudis, in realtà, il diritto di parcheggio (forse una mutazione genetica di quello di passo che un tempo andava concesso ai personaggi di alto lignaggio) per i pubblici amministratori deriverebbe dal fatto che Lor signori (qui ci sta proprio a pennello) si recano a palazzo, nel senso di Municipio, a lavorare. Al contrario degli altri cittadini. A questo punto, alzi la mano chi è uso a recarsi in Comune per diletto. Se c’è, deve essere affetto da una qualche forma di masochismo piuttosto preoccupante.

Di solito negli uffici pubblici ci si dirige, costretti da esigenze burocratiche, per evadere pratiche, ottenere certificati magari dopo essersi sorbiti una lunga coda, pagare tasse e/o sanzioni. Insomma, non proprio uno spasso. E magari il signor De Feudis potrebbe anche saperlo visto che, appunto, sostiene di frequentare le stanze comunali per lavoro. Ammesso e non concesso che all’indaffarato consigliere comunale spetti il posto auto rivendicato, lo stesso privilegio dovrebbe essere estero anche a tutti i dipendenti di palazzo Cernezzi. O no?

Proprio nei giorni in cui il sindaco di Como decide di togliere le agevolazioni ai lavoratori del palazzo di giustizia che utilizzano l’autosilo di via Auguadri, per non fare distinzioni tra figli e figliastri, ecco che ti arriva De Feudis con la sua uscita. La toppa per cui ci sarebbe stato il solito fraintendimento e che in realtà l’incauto consigliere avesse fatto riferimento solo al sindaco e agli assessori, tiene davvero poco.

Proprio in questi giorni cade il decimo anniversario della fine della Democrazia Cristiana. Un partito che ha governato a lungo l’Italia. Alcuni dei suoi esponenti ne hanno combinate di cotte e di crude. Ma tanti altri si sono accostati alla politica e hanno svolto il mandato elettorale con quello spirito di servizio che dovrebbe essere una delle principali caratteristiche dei rappresentanti del popolo. Una lezione che sembra ormai essere finita in cavalleria. Nonostante il Pd, partito in cui è stato eletto a Como Vito De Feudis, sia anche figlio della cultura politica democristiana, così come di quella del vecchio Pci, di cui si può dire tutto il male possibile ma sullo spirito di servizio dei suoi rappresentanti bisogna lasciarlo stare.

In questo caso magari ha ragione il consigliere De Feudis: i cittadini sono proprio diversi dai politici. Almeno da alcuni politici. E meno male.

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