Troppo indaffarati a leccare le scarpe del nuovo padrone del vapore, che già si accinge a bonificare le paludi Pontine e a invadere la Tripolitania e la Cirenaica, e a insultare i malcapitati grillini, ormai bollati peggio del virus Ebola e del Ku Klux Klan, gli autorevoli analisti degli autorevoli giornaloni dell’arco costituzionale, che autorevolmente autorevolizzano l’autorevolezza del ceto politico, si sono persi uno dei quadretti più spassosi della settimana post elettorale: i dirigenti del centrodestra che analizzano la sconfitta.
Ora, che Forza Italia e frattaglie assortite abbiano nel loro Dna una capacità innata di regalare momenti di buonumore è verità assodata da anni, ma bisogna ammettere che nei giorni scorsi sono stati capaci di picchi di lirismo senza precedenti. E insomma, tutto sommato abbiamo tenuto e viste le condizioni di cattività del nostro lider maximo il diciassette per cento è già un trionfo e se mettiamo assieme tutti i pezzi della diaspora siamo lì lì a sfiorare il trenta e qui il nostro caro Renzi ci deve rendere conto delle sue balle spaziali ed è questione di tempo e anche lui è un altro che parla e tassa, tassa e parla ed è solo chiacchiere e distintivo, epperò anche noi abbiamo bisogno di una bella rinfrescata, caro lei, e di un rinnovamento delle cariche, dei volti, dei profili, dello standing e forza allora con le primarie e largo ai giovani e ripartiamo dai nostri sindaci formattatori e, infine, rimettiamo subito in pista l’alleanza con la Lega – ideona! – perché, diciamoci la verità, signora mia, anche se siamo moderati questo euro è una gran fregatura e prima poi una sana bastonata a quei fregnoni dei tedeschi bisognerà pur rifilarla. E tutti lì a discettare, a catechizzare, a trombonare, a grattarsi la pera sulle strategie politiche del conservatorismo compassionevole e del liberalismo libertario e liberale e a elaborare il lutto per il conducator caduto da cavallo e a pigolare e trillare e cinguettare sulle magnifiche sorti e progressive dello spirito di intrapresa e del libero mercato. Comico.
La verità, come sa chiunque non venga giù dalla pianta, è una roba tutta diversa. E cioè che tutti questi qui – tutti, o quasi – senza Berlusconi sparirebbero in un nanosecondo e per ritrovarne le tracce bisognerebbe mettere a dura prova il cannone del Cern usato per scovare il Bosone di Higgs e, quindi, questa manfrina ilare e grottesca non ha alcun senso di esistere. Soprattutto se il capofila del rinnovamento di Forza Italia viene impersonificato da uno scienziato come Raffaele Fitto, che può sventolare le trecentomila preferenze raccolte alle elezioni ma soprattutto una bella condanna a quattro anni in primo grado, perché ormai in Italia se un leader non viene condannato per associazione per corruzione, finanziamento illecito e abuso d’ufficio fa la figura del fallito. Il responsabile di questo disfacimento da tardo impero è ovviamente Berlusconi che, come tutti i geni – forse genio del male, ma genio di sicuro – onnivori, egocentrici, narcisi e autoreferenziali non accetta in alcun modo l’esistenza di un altro da sé e quindi tanto meno la costruzione di una squadra di dirigenti anche migliori di lui, innanzitutto perché non può esistere in natura nessuno al mondo meglio di lui e, nel caso qualcuno lo pensasse, gli si fa rotolare subito la testa dentro il piatto. Da qui l’inevitabile conseguenza di circondarsi di servi, signorsì, ventriloqui e zerbini perennemente srotolati nella narrazione epica delle sue fantasmagoriche imprese. È per questo che dopo vent’anni il centrodestra non ha nessuno al di fuori del Cavaliere ed è per questo che nessuno ha mai avuto la forza di fare quello che si fa in questi casi e che lo sveltissimo Renzi ha praticato nella sua machiavellica presa del potere: uccidere il padre.
E il problema è tragico non solo in Italia, ma anche nel nostro territorio. Traslochiamo il disastro del centrodestra sulle rive del lago: la situazione è la stessa. Esiste una leadership chiara, credibile e riconosciuta? No. Una linea politica che sappia individuare un solco preciso di rappresentanza di istanze, interessi e blocchi sociali? Nemmeno. Ci sono esperienze amministrative forti da cui prendere esempio per il rilancio? Se pensiamo all’ultima esperienza di centrodestra a Como viene da ridere. Ma non c’è niente da ridere. Proprio niente. Il territorio comasco è moderato per natura, oltre che per storia, e lo sbriciolamento di una forza politica che dovrebbe coagulare il sessanta per cento della popolazione apre un vuoto di rappresentanza drammatico che la giunta Lucini – già nei guai fino al collo per conto suo – non può neanche lontanamente avvicinare. È un vulnus di democrazia gravissimo che il mondo moderato deve colmare subito, rompendo in via definitiva con una classe dirigente che ha espresso plurimi traffichini (uno in particolare), diversi pagliacci (uno in particolare) e svariati signor tentenna (uno in particolare).
Il coordinatore provinciale Alessandro Fermi – persona preparata e perbene, fino a prova contraria – ha sulle spalle un compito gravoso che consiste nell’urgenza di far piazza pulita dei reduci della disastrosa e per certi versi inqualificabile giunta Bruni e di cercare con forza un identikit, un candidato, un leader che possa incarnarsi da subito con la campagna per le comunali del 2017. Oggi non c’è nessuno, questa è la verità. Certo, mancano tre anni, ma il tempo, come sappiamo, corre veloce – tic tac – e sarà il caso di attrezzarsi in fretta. Serve una persona colta, giovane, fresca, preparata, dal profilo professionale basato su risultati veri e un vero amore per la città e non sulle baracconate da convention dellutriana dove più che riflettere sul liberismo anglosassone ci si scatenava nella rivisitazione dei passi della samba, della bachata e della batucada. Magari una donna, che è pure meglio. E a pensarci bene, forse una persona così già c’è e vive in mezzo a noi. Indovinate un po’ chi è?
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