Era il 1947 quando un gruppo di ex partigiani comunisti occupò la prefettura di Milano per contrastare la rimozione del prefetto Troilo, nominato dal Cln, da parte del governo De Gasperi. Una volta espugnato il palazzo del governo del capoluogo lombardo, Giancarlo Pajetta che comandava la pattuglia rossa, telefonò a Roma al segretario del Pci, Palmiro Togliatti. «Ho preso la prefettura», annunciò il “ragazzo rosso”. «E adesso che te ne fai?» fu la gelida replica del Migliore.
Fatte le debite proporzioni, il sindaco di Como, Mario Lucini con l’ex Casa del fascio, altro edificio più volte
espugnato per le alterne vicende della storia e e della politica, si trova nella stessa situazione di Pajetta. La sua richiesta affincché l’opera simbolo del l’architettura razionalista, ideata da Giuseppe Terragni, sia restituita a Como può dirsi ormai accolta. Si sono pronunciati a favore dell’idea il ministro della Cultura, Massimo Bray, il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, persino il governatore della Lombardia, Roberto Maroni. Insomma, più appoggiato di così. Il difficile però arriva adesso. Perché non serve l’acutezza togliattana per capire che il vero ostacolo non sono i costi di manutenzione (basta un ragioniere per superarlo) bensì come utilizzare il gioiellino espugnato, in senso buono, da Lucini.
Altrimenti si rischia di assocondare certi ragionamenti un po’ biliosi secondo cui l’assalto al palazzo di Terragni altro non è che una cortina di fumo per occultare il flop (in termini di presenze) dalla mostra su Sant’Elia.
Invece no. Per avere la conferma che la città si trova di fronte a un progetto culturale di spessore e respiro (e si potrebbe aggiungere: finalmente), il sindaco deve far sapere quale sarà la futura ennesima nuova vita dell’ex Casa del fascio. Si è parlato, ovviamente, di museo del razionalismo, la cosa più facile e immediata. Bisogna però capire se gli spazi interni all’edificio (che è già un museo di se stesso) consentono questo utilizzo. Si potrebbe anche, proprio partendo dal presupposto del palazzo museo, immaginare un percorso razionalista che coinvolgerebbe anche gli edifici vicini che l’Asl si accinge a lasciare. Se si vuole sognare in grande tanto vale esagerare.
Certo, il Comune non può essere lasciato solo. La città deve essere coinvolta e rispondere su un’operazione che ha una portata storica. Le associazioni e le categorie dovranno dare il loro contributo di idee e non solo, secondo un modello di cooperazione tra l’istituzione municipio e le forze vitali di Como che ha già dato frutti importanti sul lungolago e deve essere riproposto a maggior ragione in questo caso. Il sindaco però deve fare il primo passo. Dire: «Vogliamo riprenderci l’ex Casa del fascio», è giusto e importante ma non basta. Lucini ha ammesso di non avere ancora un progetto. Cominci a lavorarci se non l’ha già fatto. La città è chiamata a pungolarlo e stimolarlo. Perché l’edificio frutto del genio di Giuseppe Terragni ha bisogno di genialità. È una scommessa troppo importante per essere lasciata al caso.
E poi la storia, anche quella comasca, pullula di precedenti con patrimoni passati in mano pubblica e abbondonati al loro destino. In questo senso la gestione da parte della Guardia di Finanza del’ex Casa del fascio è un esempio virtuoso. il palazzo è stato conservato in maniera perfetta grazie all’abnegazione della Fiamme Gialle. Deve continuare a splendere anche quando e se sarà in mano al Comune. E soprattutto deve essere valorizzato al meglio. Una sfida che, se affrontata in maniera seria, vale un mandato amministrativo.
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