Il tempo, evidentemente, ha fatto la sua selezione, con la complicità di una crisi che in qualche misura deve avere influito, e in particolare in questi ultimi mesi. In Confcommercio raccontano che i saldi hanno fatto registrare una riduzione del volume d'affari di circa cinque punti percentuale sull'anno precedente, più o meno in linea con il dato nazionale (6%). La tecnologia paga le tante promozioni dei gestori di telefonia mobile. Acquistare un cellulare non ha più senso (- 11%). Con un qualunque contrattino da venti euro al mese tutto compreso, in genere il gestore ti rifila anche lo smartphone di ultima generazione, con buona pace del titolare del negozio che lo smartphone vorrebbe, invece, vendertelo lui.
Di sicuro la crisi del commercio è, banalmente, conseguenza della crisi economica, che costringe le famiglie a rivedere i rapporti con il superfluo. Ma è anche vero che come grande e fascinoso centro commerciale a cielo aperto, la vecchia "vasca" di Como, il quadrilatero dello struscio e dello shopping, ha smesso da un pezzo di essere competitiva.
L'apice del suo splendore risale alla metà degli anni Ottanta, cioè a poco prima che i casi della vita, le tendenze del mercato e chissà che altro ne modificassero irrimediabilmente il volto. Era un'epoca in cui tra piazza Duomo e Porta Torre si poteva davvero trovare di tutto. C'erano Baragiola e Zeppi, per la musica, c'era Mantovani, con i suoi tre piani di giocattoli in via Plinio (neanche nei film americani), c'erano barbieri, ristoranti, negozi che vendevano federe e lenzuola (e basta), il vecchio Cucchi (l'ultima drogheria), qualche libreria in più, qualche rosticceria in più, la Casa della carta (sostituita dall'ennesimo negozio di intimi, evento peraltro recentissimo). Restano per fortuna ancora un negozio di giocattoli, un paio di fioristi, un banchetto della frutta e della verdura.
E allora? E allora i negozianti raccontano che, in realtà, il declino, sempre che di vero declino si tratti, non ha alcun contatto con l'offerta, più o meno varia. Si vende quel che ha mercato, dicono, e se non si vende è perché i centri commerciali, quelli veri, ormai non li batte più nessuno, facilitati e agevolati come sono da prezzi e aperture domenicali che colmano il piccolo vantaggio che la location garantisce ancora ai centri storici. Non c'è motivo per credere che non abbiano ragione. Ma a ripensare alla città di oggi e a quella di qualche anno fa, è impossibile non correre con il pensiero alle parole di Karl Lagerfield: «I poveri sono tanti e i ricchi sono pochi», diceva. Chissà che, in fondo, il nodo non sia tutto qui.
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