Nell’arco di pochi anni è cambiato tutto. Anche nel mondo del lavoro dove abbiamo archiviato l’idea del posto fisso e via via acquisito la consapevolezza che per fronteggiare un mondo in rapida e incessante trasformazione, è necessario non smettere mai di studiare. La tecnologia procede e trasforma la realtà che ci sta intorno a una rapidità che, solo qualche anno fa, nessuno di noi poteva immaginare.
È cambiata la nostra vita, il modo in cui comunichiamo le nostre stesse emozioni. Ed è cambiata la scuola: una volta in terza media la scelta si articolava tra quattro-cinque indirizzi, oggi i ragazzi hanno di fronte una possibilità di scelta vastissima, quasi esagerata tanto che quello degli open day si trasforma soprattutto per i genitori in un tour devastante.
Il campo della conoscenza si è allargato a dismisura, la conoscenza, s’intende, utile per stare a galla nel mercato globale in cui i lavoratori - imprenditori o dipendenti poco importa in questo caso - hanno la necessità di operare su uno scacchiere molto più ampio del passato. Chi non si adegua è perduto, chi non ha capacità di allacciare relazioni in Paesi e contesti culturali differenti dal proprio, è destinato a finire fuori dal mercato. In virtù di uno scenario del genere è proprio vero l’adagio popolare che dice: non si finisce mai di imparare. La saggezza popolare è banale solo all’apparenza e questo caso non fa eccezione perché su un concetto del genere si fonda la stessa idea di formazione permanente, il mantra che negli ultimi anni ha animato gran parte degli interventi normativi diretti a favorire la qualificazione professionale dei lavoratori.
Oggi, con la precarietà del lavoro dovuto ad economie non longeve che durano al massimo cinque anni, succede spesso che il personale di aziende sia messo in mobilità e sorge la necessità di riqualificare professionalmente i lavoratori, al fine di reimpiegarli o di elevare la loro conoscenza professionale. La formazione continua quindi ha lo scopo di riqualificare, “ri-professionalizzare” le persone con corsi di formazione “dedicati”. Si tratta di una scommessa decisiva anche dal punto di vista sociale: se funziona ed è efficace il sistema della formazione, perdere il posto può non diventare una situazione drammatica perché si acquisisce la speranza che in un tempo ragionevole, in virtù del proprio sapere, si potrà trovare qualcosa d’altro.
Certo il problema di fondo è ciò che si trasmette, ciò che si insegna. I corsi di formazione dedicati sono preparati con moduli didattici specifici, proprio per evitare di perdere del tempo a raccontare nozioni generiche (magari gli elementi di cultura generale ancora, ahinoi, basilari in tanti concorsi pubblici); decisive sono le materie ed i contenuti tecnici. Fondamentali sono le lingue, la dimestichezza con le nuove tecnologie così come è emerso ieri a Lomazzo nel convegno organizzato da industriali e sindacati. Ma fondamentali, in un mondo in continua mutevolezza, sono soprattutto la flessibilità e la propensione al cambiamento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA