In estate i politici diventano particolarmente molesti. Non che in inverno siano da meno, per carità, ma anche per loro vale l’effetto zanzara: appena scoppia il primo caldo iniziano a sciamare petulanti, tormentando le nostre già disgraziate giornate di lavoro.
Quelli di centrosinistra, ad esempio, sono una sicurezza. Uno non fa a tempo a mettere un piede in città murata e viene assalito da assessori, consiglieri e consigliori di ogni genere e grado: e ce l’avete con noi e cosa vi abbiamo fatto ed è un anno che ci fate la guerra e siete il solito giornale dei padroni, dei palazzinari e dei poteri forti come ai tempi di quel fascista di De Simoni e dov’eravate quando c’era il sacco del lungolago e terroristi e demagoghi e populisti e che titoli e che locandine e non capite lo spirito della nuova Como che sta sbocciando e tutta la classica litania di lamentazioni dietrologhe e complottiste che hanno fatto le fortune della sinistra in questi ultimi vent’anni meravigliosi, che ci manca solo un “e lo Stato cosa fa per noi?” e un “ben altre sono le questioni da risolvere!” che sembrerebbe di trovarsi nel mezzo di una seduta di autocoscienza di Nanni Moretti. Ora, che l’istinto a scaricare le colpe sempre su quelli di prima e comunque su qualcun altro sia una forma mentale della sinistra è un dato acquisito. Se si ricordasse però che Como è una città moderata e pragmatica – e pure questo giornale lo è - che si aspetta non il piagnisteo sui problemi, ma la loro soluzione, forse si eviterebbe di farsi rispedire a casa dopo un solo mandato in Comune.
Il centrodestra no. Il centrodestra è tutta un’altra cosa. Se uno si sente un po’ depresso e inadeguato e corroso dal tarlo della negatività e della recessione basta che pensi un attimo al Pdl comasco e gli viene subito una bella botta di autostima. È un partito che mette di buonumore. Di certo per chi coltiva una snobistica sensibilità lombrosiana, che si vedono in giro certe facce che sembrano saltate fuori da un film di De Sica (Christian), ma forse e soprattutto per quella tipica impudenza italiota che travalica di così tante leghe il senso della vergogna da diventare alla fine veramente spassosa.
Ma insomma, questi qui negli ultimi dieci anni hanno distrutto la città producendo due schifezze di caratura nazionale e internazionale come la Ticosa e il muro sul lungolago e si permettono pure di dare lezioni col ditino alzato e fare le pulci a chiunque concionando su come si dovrebbe governare il territorio? Sindaco, giunta e maggioranza che hanno reso la nostra città ridicola in tutto il mondo farebbero meglio a sparire. Sparire. Spa-ri-re. Nascondersi. Sotterrarsi, inchiavardarsi nel più profondo dei cunicoli, come la talpa di Kafka, aspettare il passaggio di alcune ere geologiche e poi, forse, permettersi di rimettere fuori il naso. Ma solo per scusarsi di esistere e aspettare in un angolo lo spurgo di tutte le loro nefandezze. Tra queste, l’impresa napoleonica di far stravincere la sinistra nella città più conservatrice del Nord. E pensate che avevano pure fatto le primarie! E se chi le ha vinte è stato poi fatto a pezzi 75% a 25% da Lucini, figuratevi un po’ che fenomeno, che nuovo De Gasperi doveva essere chi le ha perse. Geni incompresi…
Ma questa, ormai, è storia. Fra i dibattiti più surreali legati alla cronaca, c’è invece quello su Palazzo Terragni e sulle grandi (?) mostre. Ora, è evidente che i numeri della rassegna dedicata a Sant’Elia siano negativi e che ancora oggi se uno incrocia uno dei cartelloni che avrebbero dovuto invogliare i turisti a Villa Olmo si fa il segno della croce: più che l’annuncio di un evento sembra l’apertura di un nuovo lotto cimiteriale. Magie dell’intellettualismo radical chic. L’idea, mal realizzata, di costruire un percorso pluriennale che si fondi sull’eccellenza culturale comasca – il razionalismo – è invece corretta e intelligente. E’ da qui, da Sant’Elia e dalla Casa del fascio – che deve assolutamente tornare proprietà di Como, perché solo i ragionieri di serie C hanno paura dei costi di gestione di un patrimonio mondiale dell’architettura – che bisogna partire per risollevare le sorti della città. Non da un qualche risibile format di mostra cartonata che si può allestire in qualsiasi luogo d’Italia e nel quale basta sparpagliare qualche nome celebre per attirare i gonzi, i baggiani, gli sprovveduti e i giornalisti, naturalmente, che in quanto a incultura e gonzaggine non prendono lezioni da nessuno.
Le cosiddette grandi mostre con i fuochi d’artificio, i clown, le ballerine e le truppe cammellate assoldate a forza per fare numeri da lotteria, ipotetici indotti iperurani e certificati buchi di bilancio di cui vagheggia un improbabile ex assessore - il nome è irrilevante – che pensava di fare cultura con la sua filosofia circense e non con una strategia innestata sui valori propri del territorio, come ha limpidamente ricordato il critico Philippe Daverio su questo giornale e non solo, sono uno specchietto per le allodole. Ed è un vero peccato che l’ex assessore non sia più tale, perché altrimenti chissà cosa si sarebbe inventato per regalare altri grandi numeri alle sue grandi mostre. Magari “Como capitale del pandoro” oppure “Lotta nel fango tra sottosegretarie” o anche “Il campionato mondiale di lancio del nano”. Sai quanti visitatori. E che indotto…
In fondo, aveva ragione Craxi, che è stato un bandito, ma anche un politico vero: se a quarant’anni non sei ancora un numero uno, vuol dire che non lo sarai mai. Se uno che se la tira da fenomeno, a quarantacinque suonati è uno zero assoluto a livello nazionale, uno zero al quoto a livello regionale e uno zero plus a livello locale forse sarà meglio che cambi mestiere. E se ha bisogno di una mano, di braccia muscolose al nostro centro stampa c’è sempre bisogno. Ma a patto di impegnarsi, perché anche nello scaricare risme di carta ci sarà di certo qualcuno più sveglio di lui.
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