Ma voi li dareste 7 milioni ai comaschi? È un po’ la domanda delle cento pistole e anche paradossale se posta da un comasco. La genesi però risiede proprio nella conoscenza del pollaio in cui a uno tocca razzolare.
Primo, perché solo all’idea dell’annuncio di un po’ di becchine in arrivo tanti galletti (l’accezione è squisitamente metaforica) alzano subito la cresta e cominciano a beccarsi. Secondo perché se si fa il conto di quanto mangime è stato stivato negli ultimi anni, ci dovrebbero essere in giro perlomeno le uova d’oro. Qualche esempio recente? I quattrini stanziati dalla legge Valtellina e non solo per le paratie. Tra una storia e l’altra l’equivalente di quindici milioni di euro e non è finita visto che la Regione Lombardia sarà costretta a cacciarne altri (soldi nostri beninteso, pagati con le tasse). Una cifra pari al doppio di quella messa a disposizione oggi dalla Fondazione Cariplo che in cambio chiede solo uno straccio di progetto che qualifichi la realtà comasca e su cui ci sia un minimo di condivisione.
Ma torniamo ai finanziamenti per le opere del lungolago . Quello che ne è sortito è sotto gli occhi di tutti coloro che, volenti e nolenti, passano da quelli parti. Ci sono voluti altri quattrini, questa volta privati, per metterci almeno una toppa e consentire alla città di riabbracciare il lago dopo sei anni all’insegna della cortina di ferro.
Un altro esempio? Il mutuo acceso trenta e rotti anni fa per acquistare la Ticosa. Non importa chi ha pagato. Sempre soldi a disposizioni di Como per il lussuoso mantenimento di un cumulo di ruderi, oltretutto da bonificare con altri soldi da cacciare. Si potrebbe continuare con il chiedere che fine hanno fatto gli ingenti ricavi della privatizzazione di Acsm, un gioiello pubblico comasco. All’epoca si vociferava che sarebbero stati utilizzati per realizzare una o più grandi opere. Siamo qui ancora ad aspettare.
Insomma se, per citare il capolavoro di Francesco Rosi, ci sono delle mani sulla città di Como, quantomeno sono bucate. La nobile decisione della Fondazione Cariplo suona perciò come un invito alla redenzione: imparate comaschi, una buona volta, a farli fruttare bene questi regali. Con i tempi che corrono, poi... Ebbene la risposta è la solita Babele di proposte, controproposte, mugugni, ripicche, rivendicazioni. I galletti di cui sopra. Con il rischio di diventare capponi pronti per il Natale quasi alle porte.
C’è ancora tempo per cambiare perché la pazienza della Fondazione Cariplo e del suo presidente, Giuseppe Guzzetti, un comasco che conosce bene i suoi polli, per fortuna è grande. Ma forse non infinita. Ci vorrebbe la politica, quella che quando è tale diventa buona e giusta. Ai bei tempi della Prima Repubblica quando si trattava di prendere una decisione si chiudevano tutti gli interessati in una stanza, coltelli e pistole sotto o sopra il tavolo, e nessuno usciva finché non si era concordata una posizione. Che ovviamente era sempre unitaria. Il resto era materia da retroscenisti che si ingegnavano a ricostruire distinguo e stilettate. Adesso povere anime non si divertono più perché i panni sporchi si lavano sempre in piazza. Sai che gusto a spiare dalla serratura quando la porta è spalancata... Ecco il famoso e ormai ridondante cambio di passo potrebbe e dovrebbe arrivare anche da qui. Si individui un’opera funzionale alla vocazione presente e futura della città, si punti su quella e silenzio. Meritiamoceli questi milioni e dimostriamo di saperli spendere bene. E non per costruire l’ennesimo pollaio.
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