La premessa, come si usava dire un tempo, è d’obbligo. Un piano del traffico a Como serve come l’aria. Magari anche per tentare di cambiarla perché quella che respira in città è insalubre anche a causa del flusso dei veicoli che ogni giorno si riversa nella convalle. Purtroppo, e non per colpa nostra o tutta nostra, il “eh, signora mia ci vorrebbe il secondo lotto della tangenziale” serve a poco. Sarebbe invece stato utile un piano del traffico vero, non quell’ectoplasma che sta uscendo da una frettolosa discussione condizionata dalla campagna elettorale. Perché non presentarlo prima, è la domanda, sorella della premessa è perciò d’obbligo anch’essa. Ci sarebbero stati cinque anni di tempo per discuterlo, affinarlo, arricchirlo con maggiore serenità. Avrebbe rappresentato il punto qualificante, l’eredità solida di un’amministrazione che rischia di lasciare solo ricordi disastrosi che fanno dimenticare le cose buone fatte.
Senza pensar male per forza, questo piano del traffico che spunta dal cassetto all’ultimo momento con soluzioni qualificanti sia pure con qualche azzardo come la pedonalizzazione del lungolago o il pensionamento di un girone usurato dal superlavoro quotidiano che sarebbe valsa la pena di esplorare e approfondire meglio, con più tempo e senza la testa nell’urna elettorale, lascia perplessi.
Ma poi è la rabbia che finisce per montare quando ci si trova davanti a una situazione che ricorda quella, tramandata ai posteri, di Roma e Sagunto. Ricordate Tito Livio? “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” , “mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata”. Mentre a palazzo Cernezzi si discute del piano del traffico, in via Masia il traffico miete vittime e feriti come se attraversare quel lembo di strada fosse più rischioso della pratica di uno sport estremo. Certo, la colpa principale è degli automobilisti distratti e poco propensi, come in gran parte della città (se ci fosse una telecamera a ogni zebra Como sarebbe un’altra San Fermo), a seguire le prescrizioni del codice della strada in prossimità degli attraversamenti pedonali (rallentare sempre, fermarsi se anche un solo pedone sta per mettere il piede sulla striscia), ed è responsabilità anche del sole basso invernale che combina scherzi micidiali in alcuni punti e in certi orari accecando quasi completamente chi guida.
Ma bastano questi due alibi perché un’amministrazione si sia decisa a muoversi solo dopo il quarto episodio uno dei quali fatale per un pensionato? In fondo sarebbe bastato collocare un agente negli orari in cui il sole è più pericoloso, oppure qualche ostacolo che obbligasse i veicoli a rallentare. È stato fatto in piazza San Rocco per evitare la pericolosa inversione di marcia da e verso la Napoleona. Davvero impossibile intervenire in via Masia? Va bene, anzi benissimo, ragionare sui massimi sistemi del piano del traffico. Perché ce n’è bisogno. Ma si pensi anche alle necessità e alle emergenze immediate. Bisogna dirlo? Oltretutto visto che sul primo aspetto si va verso una soluzione all’acqua fresca o una non soluzione, almeno l’amministrazione dimostri che, se proprio non riesce a tutelare i polmoni (e i nervi di chi è costretto in coda nelle ore di punta) dei cittadini, almeno garantisca l’integrità delle loro ossa.
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