Turistica ma non per caso. Da quanti anni Como si contorce attorno a questo concetto. Città bella che rischia di diventare impossibile se non riesce a domare il selvaggio flusso di visitatori che l’ha invasa a Pasqua e Pasquetta e così farà d’ora in poi in ogni weekend in cui il Padreterno concederà ai nostri luoghi il beneficio di un clima primaverile ed estivo. Un assalto che, con ogni probabilità, rappresenta molto fumo ma poco arrosto. Quante tra le persone che domenica e lunedì dalla Brianza o dal Milanese sono andate, come spesa pro capite, oltre il cono gelato consumato sull’affollata passeggiata Amici di Como o il biglietto del battello e della funicolare utilizzato dopo una paziente attesa tra folle più oceaniche che lacustri? Non è questo il turismo, come, a ragione, sostiene Andrea Camesasca, albergatore e delegato della Camera di Commercio per la materia. Questo fenomeno va gestito, l’accoglienza nei confronti di coloro che con periodicità settimanale o quindicinale arrivano a godere della Grande bellezza di Como deve essere garantita. Ma occorre tutelare anche i comaschi dall’eccesso di traffico e smog: una sorta di colossale quantità di “fumo passivo” che gli abitanti della convalle devono ingerire ogni weekend di bella stagione, come se non bastasse il carico ordinario degli altri giorni. Servono allora contromisure. Non facili da adottare in un territorio complesso come quello della città e dei suoi dintorni. Se non è impossibile con segnalazioni, ostacoli e personale, fermare le auto dirette in centro e indirizzarle nelle non poche aree di sosta che consentono di raggiungere piazza Duomo e in lago con una passeggiata di dieci o poco più minuti se non si vogliono utilizzare i mezzi pubblici non del tutto adeguati per queste funzioni, più complesso è gestire coloro che hanno necessità di passare attraverso la città, a seconda delle provenienze, per raggiungere le località delle due sponde del lago. Occorrerebbe interpellare a uno a uno i conducenti e ci vorrebbero le persone per farlo. Però se, giustamente, si considera emergenziale la situazione della statale Regina nei mesi caldi di sole e traffico, forse altrettanto si potrebbe fare per la povera Como stritolata dall’abbraccio fin troppo amoroso dei gitanti della domenica.
Fin qui la prima metà della mela lariana che tanti ingolosisce e tenta. Poi c’è quell’altra, più preziosa che Camesasca definisce la “miniera d’oro” del turismo. Ne sono contenuti coloro che a Como e sul lago vengono da lontano, per lo più da paesi stranieri ma non solo e che qui dormono, mangiano, fanno shopping, godono delle attrazioni che la città e il territorio offrono. Il “Pil” nostrano arriva soprattutto da loro. Il discorso, allora, va oltre la mera gestione dei non tranquilli weekend di caos. E investe la Como che verrà nei prossimi dieci e forse più anni. Richiede scelte lungimiranti come quelle compiute tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso, che hanno contribuito a gettare le base della Como turistica di cui si cominciano ad apprezzare anche se non del tutto a godere in benefici. La sfida è quella di trovare il modo di sfruttare a pieno la miniera d’oro, guardando all’interesse di turisti che, in questo caso, coincide con quello dei cittadini. Un ambito che non riguarda solo il Comune che pure deve essere il soggetto centrale e il motore della strategia. E che investe varie componenti: da quelle delle strutture e delle infrastrutture, della vivibilità, della cultura (i due musei con le principali peculiarità comasche, per tacer della Casa del fascio, quello Voltiano e quello della Seta non avrebbero bisogno di una riflessione?), del verde (A Como non c’è un vero parco urbano fruibile), degli eventi (la massima attrazione del periodo di Pasqua non può essere il luna park) dell’efficienza dei servizi. Insomma c’è tanta di quella carne al fuoco da ammazzare una mandria di buoi. L’importante è far vivere la Como turistica.
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