Como sostenga
i piccoli Ruffini

un miliardo guadagnato in circa dieci minuti a Piazza Affari. Una scena degna di Gordon Gekko nel celebre film Wall Street. È invece una realtà. Tutta comasca. Remo Ruffini, lo ha ammesso che non si sarebbe aspettato un simile exploit nel giorno del debutto in Borsa del suo marchio Moncler, rivitalizzato con rara lungimiranza dopo essere finito nella Spoon River degli anni’80, della Milano da bere, degli Yuppies e dei paninari.

Una scommessa affascinante ma rischiosa. Forse, in apparenza, poco comasca. Perché si sa che dalle nostre parti si tende a muoversi poggiando i piedi dove il terreno è sicuro. Il caso Moncler ci insegna che ci possono essere altre vie da percorrere, anche in un periodo di crisi in cui sembra una follia lanciarsi senza rete, come in fondo, almeno in apparenza (perché dietro c’è un lavoro di programmazione più che certosino), ha fatto Remo Ruffini.

Fatto sta che l’ultima volta in cui qualcosa di comasco ha avuto una risonanza mediatica nazionale e non solo come quella di lunedì, è stato in occasione del muro che un’amministrazione comunale indimenticabile e da dimenticare voleva erigere per orbare la città della vista del lago. Ai lezzi e agli spernacchiamenti di allora si contrappongono gli applausi, i peana e i cuori aridi dei protagonisti dell’alta finanza accesi dalla cavalcata in Borsa di Moncler. Un omaggio, fa notare chi le ha vissute entrambi, non dissimile da quello tributato dal Metropolitan Museum di New York ad un’altra icona della Como produttiva, Antonio Ratti.

Esempi da coltivare. Perché il caso Moncler non può non avere ricadute positive sul distretto industriale lariano. Ci ribadisce che da queste parti esiste una capacità creativa non comune, anche se magari non riconosciuta in pieno da coloro che la possiedono. Che si esplica tutti i giorni nel tessile, nella moda, nel mobile e in altri settori, anche se non sempre in maniera dirompente come è successo l’altro ieri in Borsa. Una creatività che dà linfa vitale a tanti marchi nel lusso, che dalle aziende di Como si propaga fino agli atelier e nelle vetrine dei negozi più prestigiosi del pianeta, che dà lustro al made in Italy di qualità che forse salverà il nostro futuro e quello delle prossime generazioni. Per altro, la scommessa vinta dall’imprenditore comasco dimostra che anche la crisi, la latitanza, anzi gli ostacoli che la politica continua a interporre tra le imprese e la crescita possono essere superati. Con il talento, l’innovazione, la qualità e la capacità di lavorare. L’affermazione di Moncler deve essere vissuta dal territorio, dalla comunità degli imprenditori, da tutti coloro che hanno voglia di emergere, che hanno idee come un esempio e uno stimolo. Anche a trovare quel coraggio dell’incoscienza che magari non fa proprio parte del Dna lariano.

C’è però un retroterra culturale, una storia, un’esperienza nel settore tessile che neppure una crisi virulenta e infinita con questa possono cancellare. Una storia in cui il caso Moncler affonda le proprie radici. Ormai, dopo il collocamento in Borsa e nell’epoca della globalizzazione, questa è un’esperienza che appartiene al mondo intero. Ma anche questo è un omaggio a Como. Da dove tutto è partito. Il territorio, la comunità, le forze produttive devono far tesoro di quanto sta accadendo. Andare a scovare, sostenere, incentivare i tanti piccoli Ruffini che certo sono tra noi ma ancora non sanno di essere tali.

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