C’è quello che invoca Keynes e i parametri di Mastricht («che hanno cancellato i capisaldi del Welfare»), quello che crocifigge i dipendenti pubblici buoni a far niente, e quello che ricorda le vagonate di milioni bruciati per il lungolago o il Palababele, auspicando che i responsabili di questi scempi risarciscano la comunità di tasca propria.
L’appello di Renzi, che ieri ha chiesto agli italiani di guardarsi attorno e di scegliere cosa tagliare per migliorare i conti del Belpaese, accende animi e fantasia anche da queste parti, in una terra che fino a qualche anno fa proiettava sui cieli d’Italia un’immagine di efficienza e concretezza che oggi mette il magone.
Eppure, in questo clima da ultima spiaggia, l’appello così “rock” del presidente del Consiglio - uno che ama parlare alle nostre pance prima ancora che alle nostre teste - una risposta la merita, se non altro per dimostrare che la voglia di voltare pagina, oltre a quella di tagliare soprattutto la corda, è reale, concreta, specie tra noi che non rappresentiamo nessuno e che di politica ci intendiamo poco.
Che cosa tagliare? La scelta mette imbarazzo ma forse la risposta è meno fantasiosa e complessa di quanto possa sembrare. Perché se per “taglio” si intende un cambio di passo, di prospettiva, di logica - ed è oggettivamente di questo che stiamo parlando - allora davvero bisognerebbe iniziare dalla vita di tutti i giorni, e dal pessimismo cosmico che da qualche anno (con più di una buona ragione, si intende) ammorba le nostre esistenze di inveterate cassandre, togliendoci la voglia di fare, di programmare, di progettare, di guardare al domani, soprattutto consentendoci alibi che, più di quanto non abbiano fatto i proverbiali sprechi di denaro pubblico, ci hanno trasformato in cittadini rassegnati, lavoratori stanchi, spenti travet di una vita in cui finiremo per smarrirci.
Per esempio: in questi anni si è fatto un gran parlare del “miracolo” tedesco, e dei prodigi di una economia che, nonostante il disastro finanziario planetario, macina comunque denaro, profitti e benessere. La differenza tra noi e loro, sta tutta nella capacità di “tagliare” davvero con tutto quello che ferma il progresso nel senso etimologico del termine, che è poi quello di un “cammino” che si compie giorno per giorno profondendo il massimo della serietà e delle energie in quello che si fa per raggiungere una meta.
E allora a Renzi dovremmo rispondere che l’elenco è lungo: va tagliato il pessimismo cosmico che ci tortura, va tagliata la pigrizia, l’approssimazione, l’apatia e l’assenza di passioni , che sono poi l’essenza della vita e del lavoro. Vanno tagliate le paure per il futuro dei nostri figli, le stesse che ci impediscono di costruirlo come se fosse sempre compito degli altri. Viva la spending review, si al taglio degli stipendi dei super manager che non combinano mai niente, si al taglio dei vitalizi di parlamentari che non conoscono la differenza tra una legge e un decreto, si al taglio delle auto blu, del senato e delle province. Ma senza un taglio netto con l’Italia pingue e stanca che tutti noi abbiamo contribuito a spiaggiare come una megattera sulle sabbie mobili di questa crisi apocalittica, Renzi e i suoi Tweet non saranno serviti a nulla. Rimboccarsi le maniche, osare, sognare, lavorare senza brontolare. Tagliare i ponti, per non ritrovarsi costretti a tagliare la corda. Per lo meno, alla fine, saremo certi di averci provato.
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