Sembra la scena di un film del primo Verdone ma è tutto vero. Viale Lecco, tarda mattinata. Una coppia di turisti romani indica la zona Duomo-teatro Sociale e chiede al passante: “sta di là il lago?” “No da questa parte sempre dritto”. “Ah, e il muro?” “Il muro non ci sta più: demolito”. Breve espressione delusa e poi si incamminano. Alla fine, insomma, viene fuori che anche il muro sul lago, la peggiore nefandezza compiuta da un’amministrazione comunale a Como, ha un rovescio positivo della medaglia. È un’attrazione turistica, anche postuma. Non c’è da
stupirsi per carità. Meglio arrivare a Como per cercare la barriera davanti al lago che ha fatto ridere o piangere tutto il mondo, che non recarsi all’Isola del Giglio, prima, o a Genova ora, per sbirciare la carcassa della Costa Concordia. Dalle nostre parti almeno c’è stata solo la farsa e non anche la tragedia.
D’altra parte del muro sul lungolago hanno parlato il New York Times, il Corriere della Sera e tanti altri media italiani e non. E l’enormità di una scelta tanto scellerata come quella di oscurare in modo deliberato uno dei panorami più ammirati del globo terracqueo, ha lasciato e, a quanto pare, lascerà il segno ancora per molto. Del fatto, poi, che il muro sia stato, per fortuna demolito in culla, non tutti se ne sono accorti. La sua caduta ha fatto molto meno rumore di quella del suo più celebre omonimo. Del resto il peso specifico della notizia legata alla scoperta di questa deviazione di percorso del progetto delle paratie, dovuta a Innocente Proverbio, personificazione del proverbiale pensionato uso ad ammazzare il tempo attraverso l’osservazione dei lavori in corso, è stato superiore a quello del piccone brandito dall’allora governatore lombardo Roberto Formigoni, per porre fine allo scempio.
Il muro, che evidentemente possiede un senso civico più elevato di coloro che l’hanno ideato, ha forse pensato di risarcire i comaschi con questa forma di pubblicità. Del resto, non era l’ideatore di uno dei due aperitivi più diffusi in Italia, ad affermare: «basta che se ne parli», davanti a coloro che gli riferivano pareri non lusinghieri a proposito del suo prodotto? Lo stesso discorso forse vale per Como. L’eco rimbalzata dal muro è servita anche a rendere noto a chi non lo sapeva che dietro quella barriera c’era un lago e un panorama da sogno. E proprio per questo era scattata una mobilitazione forse senza precedenti in città . Chissà, se la faccenda fosse nata e morta in un luogo dove sono più sgamati di noi in materia di promozione turistica, sarebbe nato anche un merchandising legato all’obbrobrio. Chi si reca nella capitale della Germania magari trova ancora chi spaccia ignavi pezzi di sasso per frammenti del Muro con la maiuscola.
Quella del muro (con la minuscola) nostrum, peraltro, è una storia che non è stata ancora raccontata del tutto e forse non lo sarà mai. Da cui sono scaturiti interrogativi che forse non troveranno mai risposta. Adesso però sarebbe anche giusto far calare l’oblio. Sul ricordo del muro e sul cantiere che continua a infestare il nostro splendido lungolago.
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