Siamo un popolo di navigatori, o almeno ne eravamo fermamente convinti fino a quel 13 gennaio 2012, quando sul megaschermo della nostra Coscienza Collettiva non apparve il Capitan Schettino. O meglio non direttamente lui, lui lo scovarono dopo, ma la nave, la nave che andava giù.
La botta all’orgoglio nazionale fu dura, roba da non raddrizzarsi (quasi) più. Ma siamo pur sempre anche un popolo di poeti: o almeno di cultori della metafora. Dell’immagine simbolica che calza alla perfezione per tutte le occasioni e per tutte le stagioni. Così, la tragedia della Costa Concordia diventò immediatamente l’immagine dell’Italia “nave senza nocchier in gran tempesta” che andava a fondo, travolta prima dai flutti dello spread, della crisi e della malapolitica, e poi dalla cura di cavallo che il Governo dei Tecnici ci stava salassando.
Ma soprattutto fu l’ignominia di Capitan Schettino a simboleggiare, tutto d’un tratto, l’Italia che mollava, l’Italia truffalda che non faceva il suo dovere, l’Italia “che s’inchina”. Quelli che non pagano le tasse e quelli che non timbrano il cartellino. “Torni a bordo, cazzo!” divenne in breve il grido della condanna, ma anche del riscatto nazionale. Subito fummo pieni di capitani coraggiosi ed eroi della porta accanto che “tornavano a bordo” – in fabbrica, in famiglia, in ospedale – sempre e comunque a fare il proprio dovere.
Metafore su metafore, modi di dire, specchi sempre pronti a riflettere la politica, la società. Sia detto con tutto il rispetto che merita la tragedia, e soprattutto le vittime di quel tragico, insensato affondamento a due passi dall’isola: ma la nave Concordia diventò subito, nell’immaginario degli italiani, un nuovo palcoscenico dell’eterna commedia dell’arte. Con una maschera in più, Schettino “torna a bordo”, appunto.
E adesso, finalmente, splendente come il sole settembrino, ecco il miracolo, la resurrezione. Con tutto il suo bel corredo di metafore, ovviamente, ma stavolta a fin di bene. Già il nome tecnico dell’operazione è pura poesia, armonia celestiale e beneaugurante visione zodiacale: la rotazione della Concordia. Cambia il vento, gira il mondo, ed eccoci di nuovo tutti a bordo, l’Italia che si salva, che ce la fa, i buoni che vincono. Fosse un vecchio film di Frank Capra, si intitolerebbe “Torna a bordo, alleluja!”. Come sempre ci accade, dalle tragedia nasce la solidarietà, gli abitanti dell’Isola del Giglio sono ormai per sempre degli eroi. E la scienza, il Progresso, ovvero quella capacità degli uomini di vincere la natura e che di troppe volte ci auto-rappresentiamo come cattiva, violenta e da contrastare a tutti i costi – pensiamo alla Tav in Val di Susa, o al Mose di Venezia – qui si presenta invece come una forza buona positiva. Il miracolo di una scienza che ingabbia l’aria sotto il mare e sotto le lamiere, e le fa salire fin quasi a toccare il cielo.
Non c’è che dire, siamo tornati ad essere un popolo di navigatori, e di poeti. Ma siccome siamo un po’ anche un popolo di mascalzoni, dobbiamo stare attenti che la metafora, alla fine, non ci si ritorca contro. Per l’emersione della nave della Costa Crociere, sembra di capire, sta andando tutto bene. Ma se invece all’Italia succedesse come quando si ribalta la canoa? Si finisce a testa sotto, e poi con un colpo di reni, di si raddrizza di 180 gradi. Ma ogni tanto, come nei filmini di Paperissima, il colpo di reni è troppo forte… e la rotazione diventa di 360 gradi. Troppo entusiasmo, tutto da rifare… Torna a bordo, Italia!
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