Allarme sicurezza. Quanto spesso abbiamo usato e talvolta abusato di queste due parole. Ma dietro alla sintesi di un titolo ci sono sempre storie e soprattutto moventi e contesti differenti da analizzare.
Questa città e questa provincia hanno vissuto diversi allarmi sicurezza: l’ondata dei ladri scalatori, l’arrivo in provincia delle bande dei rapinatori in villa, la calata dei malviventi specializzati nei colpi ai distributori di benzina, la banda delle slot, il commando dell’assalto dei portavalori sull’Autolaghi.
Ogni stagione un allarme differente e in parte inedito. Con un comune denominatore: l’animo delinquenziale dei protagonisti. In gran parte rapinatori professionisti o, comunque, persone totalmente prive di particolari freni morali e, per questo, pronte a non farsi scrupoli di fronte a uno scippo, un furto o una rapina improvvisata. È il caso, ad esempio, del preoccupante assalto in villa di domenica notte, quando un ladro non ha esitato a vestire i panni del rapinatore arrivando a terrorizzare e strattonare una donna sola in casa, pur di rubare poche migliaia di euro.
Accanto a questo esercito di delinquenti, più o meno abituali, le cronache degli ultimi mesi stanno proponendo una nuova categoria di ladri e di rapinatori: quella di persone che mai, probabilmente, avrebbero pensato di violare la legge, ma che la crisi ha spinto sull’orlo - e talvolta anche oltre - della disperazione. Non è una giustificazione, sia chiaro, ma una chiave di lettura che deve suonare anche come inquietante campanello d’allarme.
La crisi economica, con il suo bagaglio di egoismo e di cinismo, sta gettando benzina su un disagio sociale sempre più ampio che rischia di divampare e sfociare - questa volta realmente - in un’emergenza sicurezza senza precedenti.
La storia più emblematica, in tal senso, riguarda l’aggressione di una pensionata a Ponte Chiasso. Analizzandola superficialmente, la rapina di lunedì pomeriggio in via Franscini, si potrebbe pensare all’azione di un giovane privo di scrupoli e senza più nulla da perdere, sul modello degli scippi e delle aggressioni anni Novanta dei tossicodipendenti a caccia dei soldi per una dose di eroina, che allora andava molto di moda.
Poi vedi la disperazione del padre del ragazzo arrestato, ascolti la storia raccontata in aula dall’avvocato, senti le scuse pronunciate davanti al giudice e il movente abbozzato e ti rendi conto che liquidare quanto avvenuto come un semplice episodio di microcriminalità sarebbe un clamoroso errore.
Qui non siamo di fronte al classico sfaccendato in cerca di un guadagno facile a scapito degli altri, bensì di un ragazzo incensurato, senza lavoro, senza più risparmi che, assieme al padre rimasto disoccupato, da giorni si trova al Nord per cercare lavoro. Con un miraggio davanti agli occhi: la possibilità di trovare un’occupazione, anche temporanea, in Svizzera.
Le prime parole del padre ai poliziotti, dopo l’arresto del figlio, si possono sintetizzare più o meno con un «lo ammazzerei per quello che ha fatto». Gente che, dunque, mai si sarebbe sognata di violare la legge. Ma questa crisi brucia l’anima, annienta le speranze e trasforma le persone. E così facendo alimenta quella che rischia veramente di trasformarsi in un’emergenza sociale e, potenzialmente, anche di ordine pubblico. Oggi più che mai è allarme sicurezza. Ma non basterà la polizia per arginarlo.
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