Come spesso accade in Italia il progetto è iniziato con il piede sbagliato: il Ministero per i Beni Culturali aveva garantito, un paio di mesi fa, che entro il 30 aprile ci sarebbe stata la prima selezione delle 24 città candidate a diventare capitali italiane della cultura nel 2016 e nel 2017. Poi, un paio di giorni prima della scadenza, il rinvio di ogni decisione alla fine del mese di giugno pare di fronte divergenze tra Ministero e Regioni sulla composizione della giuria. Forse ha concorso l’imminenza delle elezioni, in ogni caso ora ci siamo e a Como, che si è candidata con Cernobbio e Brunate, c’è grande attesa per un passaggio che potrebbe aiutare non poco la trasformazione della città che ha una sua chiara e storica identità legata alla manifattura tessile, arricchita negli ultimi anni dalla nascita dell’università e dallo sviluppo del turismo soprattutto legato alla cultura. Siamo la capitale della seta e puntiamo a diventare città della conoscenza e dell’accoglienza. Ce la faremo? Ieri, in un’intervista di Sara Cerrato, Barbara Minghetti, presidente di Teatro Sociale Aslico, ha sottolineato la necessità che su questo terreno si cambi marcia, si passi cioè a interventi concreti accanto all’enunciazione di tanti bei principi. Come? Una prima concreta azione è il coinvolgimento di tutti i principali operatori culturali con la creazione di una sorta di cabina di regia per stabilire di anno in anno come investire gli introiti della tassa di soggiorno. Ora il Comune, così come prevede la normativa, decide d’intesa con l’associazione albergatori. E quest’anno, sia pure con qualche ritardo, si sta facendo molto a partire dal nuovo ufficio turistico al Broletto, una primaria necessità considerati i limiti e l’infelice posizione del chiosco di via Magistri Comacini.
Certo, si potrebbe allargare il ventaglio dei soggetti coinvolti, perlomeno a livello consultivo, ma soprattutto sarebbe opportuno superare il pregiudizio in base al quale alla cultura vengono destinate le briciole. Se Como punta a far crescere la sua capacità di richiamo nel circuito della cultura e degli eventi, è impensabile continuare a pensare che si faccia quasi tutti solo grazie al privato. Significativo, da questo punto di vista, ciò che avviene a Cernobbio dove il Comune raccoglie circa 300mila euro all’anno dalla tassa di soggiorno e utilizza questa somma in larghissima parte per finanziare la stagione degli eventi (mostre e iniziative culturali). C’è, del resto, in città una rete ormai consolidata di manifestazioni di grande richiamo – dai progetti che fanno capo al Sociale passando per Parolario, il Festival della Luce, il Progetto Aurora, Europa in versi, Artifisciò, il Lake Como Film Festival, le stesse Primavere di Como giusto per stare ai progetti più partecipati degli ultimi mesi – di fronte alla quale il Comune, al di là del capitolo finanziario, è chiamato sempre più a svolgere un ruolo di coordinamento innanzi tutto nel settore del marketing e della promozione. Il punto non è creare l’ennesima consulta per perdere qualche pomeriggio senza combinare nulla. Serve un vero progetto per la cultura in città e il soggetto naturalmente chiamato a predisporlo è l’amministrazione cittadina. Tanto più se, come tutti si augurano, Como riuscirà a vincere il concorso di capitale italiana e potrà contare su un contributo extra dal Ministero di un milione di euro.
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