Una mezzanotte di agosto di tre anni fa, con la gente naso all’insù a guardare le stelle cadenti dalla spiaggia, l’amministrazione regionale di Maroni - ancora nelle vesti di imperatore assoluto - decise di spezzare in due la provincia di Como, abbassando ad Argegno il confine con Sondrio.
Accadde solo per la sanità, ma, lo si scoprì qualche mese più tardi, nelle intenzioni della Regione questo doveva essere il primo passo di un piano volto alla creazione dei “Cantoni” maroniani, organismi destinati a sostituire le Amministrazioni provinciali e a smembrare la provincia di Como. Capoluogo sarebbe diventato Varese, toh, e il lago sarebbe finito sotto Sondrio, con il confine del nuovo ente ritracciato proprio secondo i confini delle Ats. Un piano senza capo né coda fallito anche grazie ad uno spontaneo movimento di opposizione nato da cittadini e rappresentanti del mondo economico, politico, sociale, culturale, del quale il nostro quotidiano si fece interprete con la campagna contro il “Lago diviso”. E alla fine i Cantoni furono, appunto, accantonati.
Ma torniamo alla sanità. Quella notte, era il 5 agosto 2015, tutta la sponda occidentale del lago da Argegno in su, compresa Valle Intelvi e Porlezzese, si trovò inglobata nella Ats della Montagna, sede a Sondrio. Senza una seria campagna di informazione e discussione, come lamentarono un po’ tutti gli addetti ai lavori. La riforma, parto dell’allora presidente della commissione Sanità, il leghista Fabio Rizzi (ai tempi molto in auge, prima dell’arresto e del patteggiamento a due anni per le tangenti sugli appalti per l’odontoiatria), suscitò da subito molte perplessità, soprattutto in ordine alle sorti dell’ospedale di Menaggio, ma venne salutata dal plauso di quasi tutte le amministrazioni locali, fedeli e allineate alla volontà di Maroni & C. Votarono infatti a favore della riforma e del ridisegno dei confini 42 sindaci su 49. Un plebiscito. Le cronache raccontano anche delle dichiarazioni di esultanza dei consiglieri regionali laghee Dotti e Bianchi.
Che fossero favorevoli – e che lo siano tuttora - i Comuni e i rappresentanti dell’Alto Lago non deve sorprendere: a Gravedona c’è un ospedale che funziona e da quell’area è ben più semplice e veloce raggiungere la Valtellina o Lecco che non affrontare la discesa a Como lungo la Regina. Ma che la riforma fosse acclamata anche dai sindaci della Valle Intelvi e del Centro Lago sembrava un po’ sorprendente, sentite anche le perplessità della gente del posto.
Ora, passati quasi tre anni ecco che 27 sindaci su 29 hanno chiesto di fare retromarcia e di tornare a Como (compreso l’ospedale di Menaggio), come logica e buon senso avrebbero voluto sin dall’inizio. Sia chiaro, non che l’Ats di Montagna della Valtellina sia un girone infernale, tutt’altro. Tanto che due Comuni hanno scelto di restarci, con Sondrio e che, con tutta probabilità ci resterà tutto l’Alto Lario. Il dietrofront è piuttosto motivato da motivi logistici, pratici, dopo che, giusto per fare un esempio, pazienti della Valle Intelvi si sono visti trasportare in ambulanza a Sondrio dopo banali incidenti.
Ora il pallino va alla Regione, che ha il merito di avere ascoltato la protesta e ha dato il via libera al ritorno a Como dei Comuni “esiliati”. Bene. C’è una manifestazione di volontà, quindi soddisfazione, sorrisi e pacche sulle spalle.
Ma c’è un “però”. L’assessore regionale Gallera ieri si è esibito in un’opera di contorsionismo verbale e ha modificato per tre volte il comunicato stampa: prima ha scritto che il ricorso dei sindaci sarebbe stato “accolto”, poi ha corretto in “valuterà”, infine in “terrà conto”. Perfezionismo grammaticale o segnali in politichese di qualche problemino sullo sfondo? Staremo a vedere.
Alle promesse della Regione siamo abituati, da queste parti. Ricordate l’abolizione del pedaggio della tangenziale di Como, quello promesso, ripromesso, ci siamo, ormai è fatta, è solo una formalità? Ecco, siamo qui ancora ad aspettare. O il progetto sulle paratie, caduto in un letargo post elettorale? Idem. Ci scuserà quindi l’assessore regionale se, pur fidandoci della sua parola (anzi, delle sue diverse parole) e senza volerci sostituire al celeberrimo discepolo incredulo, prima di ringraziare e congratularci preferiamo aspettare la firma.
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