C’è anche la Lega nella battaglia per difendere l’identità di Como e del lago. Ed ora è davvero un movimento trasversale, anzi meglio territoriale, quello che sostiene la necessità di modificare radicalmente la riaggregazione territoriale già varata con la riforma dei servizi socio sanitari. Quest’ultima è stata definita dal presidente Roberto Maroni solo un punto di partenza ed il concetto è stato ribadito da Nicola Molteni, il massimo rappresentante locale lumbard a livello istituzionale. Sì, un punto di partenza da cui iniziare un lungo percorso perché lo smembramento dell’attuale territorio provinciale e la divisione del lago in tre ambiti sono un non senso dal punto di vista storico ma anche della funzionalità amministrativa. Tanto è vasto oggi il coro a sostegno di questa tesi, tanto dovrà però esserlo nei passi successivi quando si entrerà nel vivo della questione perché c’è il timore, inutile nascondercelo, che dietro l’unanimismo di oggi ci siano le pieghe per le divisioni di domani.
Il giornale, negli ultimi mesi, ha dato a questa vicenda grande attenzione ed ha raggiunto il primo obiettivo che era quello di impedire che, come avvenuto sulla sanità, i comaschi subissero senza dire la propria. Non è andata, per fortuna, così. La reazione delle forze sociali e anche di quelle politiche c’è stata ed è stata efficace. Ma ora, sulla scorta del buon esito di questa azione di lobbying territoriale, occorre alzare l’asticella e, al di là del no a priori a ogni ipotesi di smembramento, varrebbe la pena approfondire, anche attraverso degli strumenti di analisi, quale soluzione sarebbe più adatta a rappresentare le reali esigenze del territorio. Di ipotesi se ne sono sentite diverse e tutte hanno una loro giustificazione. Guai però a decidere senza elementi oggettivi di valutazione, guai se in una questione del genere, che segnerà la storia del nostro territorio nel bene quanto nel male, si decidesse in virtù di interessi parziali e non della comunità comasca. E guai anche se pesassero campanilismi o anche solo pregiudizi legati al passato. Come è possibile che ancora oggi una parte della classe dirigente lecchese, ad esempio, esprima ritrosia rispetto alla re-unione del Lario probabilmente per il timore di diventare periferia rispetto all’antico capoluogo? Il timore si può capire sul piano emotivo, meno a considerare la posta in palio che è lo sviluppo e la crescita del territorio lariano nel suo insieme.
Alle spalle gli italiani, lombardi compresi, non hanno un cammino incoraggiante. Nei primi cinquant’anni di repubblica il numero delle Province è rimasto quasi stabile, l’aumento è stato di sole cinque unità. Poi, proprio negli anni in cui iniziava a farsi largo la convinzione che si trattava di un ente inutile o comunque da riformare radicalmente, le Province sono diventate 109. In alcuni casi, non solo nelle regioni meridionali, si è dato seguito ad aggregazioni ridicole, anche dal punto di vista geografico, ed il risultato è stato quello di far esplodere la spesa pubblica senza fornire ai cittadini adeguati servizi. E che dire, per stare al presente, delle difficoltà diffuse incontrate dai progetti di fusione dei Comuni che sono, al contrario, un percorso virtuoso per contrastare gli sprechi e i disservizi determinati dalla polverizzazione municipale?
Ecco questo tipo di comportamenti, viziati dagli interessi soprattutto della cattiva politica, non deve entrare in una partita il cui esito deve essere quello di realizzare un livello amministrativo efficiente. Su questo - ha ragione Molteni – è fondamentale che la riforma chiarisca senza ambiguità quali saranno le funzioni future e quali saranno le risorse a disposizione. Cambiare si deve, in meglio però e nell’interesse di tutti.
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