Difendiamo la Isoardi
dall’assalto dei lacchè

La grandezza di Paolo Villaggio - di cui ricorre proprio in questi giorni il primo anniversario della scomparsa - sta tutta nella formidabile analisi del servilismo degli esseri umani. Servilismo congenito, genetico, antropologico, esistenziale. Uno scavo feroce, per quanto spassosissimo, della vera natura di noi infidi, infimi e fanghigliosi invertebrati, un’operazione di profondità culturale davvero degna di uno scrittore di vaglia, di un qualche grande russo, addirittura, autori che non a caso lui conosceva perfettamente.

Villaggio è un classico. Ed è un classico proprio perché la sua ricerca da entomologo delle piccinerie e delle meschinaggini di chi è servo con i potenti e arrogante con gli ultimi è valida sempre e la si ritrova tutti i giorni in ogni ambito sociale. Non è forse vero che nella vita reale vediamo mille e mille situazioni perfettamente sovrapponibili alle gag, alle sequenze e alle scene madri dei suoi film migliori (i primi due di certo, più alcune parti del terzo) e di tutti i libri, di strepitosa efficacia narrativa, da cui sono stati tratti? Ma certo che è così. E infatti, non a caso, l’ultimo episodio che ha confermato quanto sia formidabile il cuore della sua opera è stato offerto dalla presentazione dei palinsesti Rai della prossima stagione televisiva. Sai che notizia, si dirà. Programmi confermati, programmi tagliati, star che vanno, star che vengono. E invece la notizia ghiotta, sapida e gustosissima narrata dalle cronache sta tutta nella trasformazione di una fino a poco tempo fa seminota presentatrice nella vera e propria ape regina dell’evento. L’improvvisa popolarità di Elisa Isoardi - compagna del leader leghista Matteo Salvini - ha sconvolto tutte le consolidate gerarchie del carrozzone televisivo statale, tanto è vero che rispetto a un anno fa la conduttrice è scalata da un’oscura ventesima fila su su fino alla seconda, quella che ospitava le altre star griffate di Raiuno. Ma, soprattutto, ha fatto sensazione il codazzo ininterrotto di colleghe e direttori che si alternavano per andare a omaggiarla, con tanto di dichiarazione simbolo dello spirare del vento della storia rilasciata dal direttore di Raiuno Angelo Teodoli: “Isoardi è l’incarnazione perfetta della bellezza mediterranea”. Tutto vero.

E qui bisogna fare massima chiarezza. Questo non è un pezzo contro la Isoardi, ma a sua difesa, visto che è finita in questo gorgo a sua insaputa, è parte lesa e, a quanto si sa, non ha mai approfittato del ruolo strabordante del fidanzato. Questo pezzo, al contrario, vuole testimoniare una vicinanza sincera nei confronti della malcapitata e di tutti coloro che detengono poteri grandi o piccini e che proprio per questo motivo devono difendersi dalle orde di lacchè, ruffiani e cicisbei che in queste occasioni spuntano sempre come lumache dopo un acquazzone agostano. Il colpo d’occhio lombrosiano del leccapiedismo nazionale è, infatti, di stretta matrice fantozziana: salivazioni azzerate, mani spugnose, inchini al megadirettore laterale, piroette al megadirettore siderale, battimani al megadirettore clamoroso e Corazzate Potemkin e Coppe Cobram e partite a stecca e applausi e sorteggioni e crocifissioni in sala mensa e tordi interi e pomodorini palla di fuoco a diciottomila gradi e Casinò di Montecarlo e sono stato azzurro di sci e poesie di Natale recitate al Cda e vari di motonavi con contesse Serbelloni Mazzanti Vien Dal Mare e bla bla bla.

Tutto, ma davvero tutto, noi impiegati, noi scribacchini, noi inferiori, noi “merdacce”, noi “coglionazzi” siamo capaci di inventarci per slurpeggiare chi comanda. E la nostra piaggeria è talmente debordante e tumultuosa che non si limita a lustrare le scarpe e stendere passatoie e lucidare stuoini ai padroni del vapore, ma finisce con il riverberarsi pure su tutti i parenti di ogni ordine e grado. E così, come in quella memorabile scena del feroce cavalier Diego Catellani e della genuflessione obbligatoria degli impiegati di fronte alla statua dell’amatissima madre, si può immaginare di quali e quanti inginocchiamenti - sicuramente respinti dall’interessata - sia vittima in questi giorni di fuoco la povera Isoardi. Quanto pagheremmo per poter vedere, da un affaccio ben occultato, le scene circensi della questua di favori implorati dagli scodinzolanti. Chissà che facce. Chissà che prose carducciane. Chissà che dita intrecciate. E chissà che fogge. Ci vorrebbe la voce di Villaggio per descriverle.

Abbigliamento del capostruttura che lui ha sempre detestato Antonella Clerici: berrettone Sherlock Holmes con penna alla Robin Hood, poncho argentino di una sua zia ricca, scarpe da tennis con sopra galosce, carte topografiche e trombone da brigante calabrese.

Abbigliamento del caporedattore di sinistra improvvisamente convertitosi al cattivismo sovranista: berretto bianco alla marinara di sua figlia Mariangela, giacca penosamente normale stretta in vita da gigantesca cartucciera da mitragliatrice residuato della seconda guerra mondiale, fionda elastica, siero antivipera a tracolla, gabbietta con canarino da richiamo e gatto randagio da riporto subito fuggito durante operazioni di partenza.

E se voi pensate che questo sia tutto cinema, tutta letteratura, tutte iperboli, vi sbagliate di grosso. Chiunque di noi sa quanto friabile sia il nostro rapporto con la probità e l’orgoglio e quanto invece il demonio del tengofamilismo sia la nostra vera stella polare, quella che ci orienta, ci indirizza, ci dona forma e sostanza. E soprattutto quanto quello che ci fa ridere e sghignazzare e sbellicare nei libri e nei film di Fantozzi ci faccia riflettere e ci spinga, nel cuore della notte, alle riflessioni più amare. Perché quella roba lì, quella lisciata di pelo, quella risata posticcia, quell’adulazione lasciva è il nostro album di famiglia, la nostra autobiografia della nazione, la nostra eterna ricerca di qualcuno che risolva i problemi al posto nostro. Speriamo che la Isoardi legga La Provincia.

@DiegoMinonzio

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