Enrico Letta si sente rafforzato dall’appoggio di Barack Obama nella lotta alla disoccupazione giovanile. Si potrebbe obiettare che sarebbe strano se fosse mancato l’interesse dell’amministrazione americana sul problema che assilla tutto il mondo occidentale. E tuttavia dal G8 in Irlanda del Nord non sono emerse iniziative concrete. Solo una montagna di buoni propositi.
In vista del Consiglio europeo di fine mese è anzi sparito dall’ agenda il tema della golden rule (lo scomputo degli investimenti produttivi dal bilancio statale) rinviato - ha fatto sapere il premier - a tempi migliori. Forse a dopo le elezioni tedesche. Ma perché l’opinione pubblica della Germania dovrebbe cambiare idea dopo quel voto? Questo è un’interrogativo a cui finora nessuno ha saputo dare una risposta.
In realtà è probabile che accada esattamente il contrario. In questa assenza di risposte capaci di ’’mordere la crisi’’, per usare le parole di Nichi Vendola, lo scontro sulla proposta del Cavaliere di sforare nuovamente il tetto del tre per cento del deficit ha qualcosa di forzato. Il presidente del parlamento europeo Martin Schulz ha riconosciuto infatti che al nostro Paese può essere concesso un po’ più di tempo per rientrare nei parametri come a Francia e Spagna; l’ex premier Mario Monti ha fatto sapere che lui il fiscal compact non l’avrebbe firmato, evidentemente perché lo ritiene un contratto capestro; Guglielmo Epifani infine ha detto che l’Ue sembra a volte una prigione e che è necessario cambiarne il passo, cioè ottenere soldi per la crescita. Dunque la sostanza è simile a quella della provocazione berlusconiana di cui non si accetta però la forma tranchant: i patti infatti vanno rispettati e lo saranno, garantisce Letta.
Un minuetto che non risolve il problema di dove andare a trovare le risorse per la ripresa. Soprattutto considerando il fatto che nel ’’decreto fare’’, denuncia Monti, non c’è nulla per il lavoro e il welfare. L’ex premier è sceso in campo distribuendo sciabolate a destra e sinistra: ha ammonito il premier a non abbandonare la politica del rigore, si è detto indisponibile ad appoggiare allentamenti dei vincoli europei ma poi ha definito priva di ogni legittimità la lettera della Bce inviata nel 2011 al governo Berlusconi, lasciando intendere che al posto del Cavaliere avrebbe negoziato in maniera diversa; ce n’è anche per Bersani che a suo avviso si sarebbe sfilato dalla vecchia maggioranza solo un attimo dopo il leader del Pdl.
Non è chiaro dove stia andando Scelta civica. Ma certo la decisione del Professore di dare vita ad un partito riformista di centro costituisce un problema in più per Letta. Al suo rientro in Italia il capo del governo trova un panorama di generali divisioni della maggioranza. Il Pd soffre il dibattito precongressuale con fibrillazioni che non possono non riflettersi sull’esecutivo, Scelta civica è divisa in tre (montiani, casiniani e montezemoliani), lo stesso Pdl è compatto dietro il leader ma scosso dall’intenzione di Berlusconi di dare vita ad un soggetto completamente nuovo. E su tutto aleggia l’interrogativo di dove si andranno a trovare le risorse per Imu e Iva.
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