E se l’operazione “lucchetti sul lungolago” non fosse solo una provocazione del quotidiano di Como per tenere desta l’attenzione dell’amministrazione pubblica sul dramma delle paratie, ma ambisse a essere qualcosa di più? Qualcosa di più “culturale”? O addirittura di artistico? Negli ultimi anni del resto stiamo assistendo a forme d’arte che non si risolvono in opere di pittura, scultura o installazione, ma che richiedono il coinvolgimento diretto delle persone. A Roma, ad esempio, il famoso fotografo americano Spencer Tunick ha invitato le persone a raccogliersi tutte insieme per realizzare una “scultura” collettiva di corpi nudi. E in 200 hanno invaso piazza Navona! L’artista thailandese Rirkrtit Tiravanija invece usa l’arte culinaria per fare azioni in cui invita il pubblico a mangiare succulenti piatti asiatici. Questo tipo di arte, che è stata teorizzata dal critico francese Nicolas Bourriaud, si definisce “Arte relazionale” e coinvolge molti artisti contemporanei come Félix Gonzàles-Torres, Philippe Parreno, Liam Gillick, Carsten Holler, il gruppo italiano Oreste. È un’arte coinvolgente che rende protagonisti per un momento anche chi non sa proprio che cosa sia l’arte contemporanea, facendolo uscire dalle regole precostituite e dalle logiche omologanti della società.
Ecco, sabato e domenica, si è verificato qualcosa di simile. Molte persone, ignare del tutto al principio di quanto veniva loro proposto o arrivate di proposito sul lungolago, hanno partecipato a questa coinvolgente operazione di felice protesta culturale, appendendo il proprio lucchetto alla rete della recinzione del cantiere. Il risultato finale è una struttura colorata che ingentilisce e allo stesso tempo ironizza sulla tristezza del cantiere, sulla sua storia di ignoranza amministrativa, sui meccanismi di manipolazione che rendono i cittadini vittima delle stesse persone che dovrebbero tutelarli. Creare uno spazio di riflessione, che desti repulsione o approvazione, attraverso un’operazione estetizzante non è forse uno dei ruoli dell’arte? Ma in questo caso, dal momento che l’intenzionalità di chi l’ha promossa non era artistica, possiamo parlare di arte? O forse meglio parlare di società civile che si avvicina inconsapevolmente all’arte? Ma in fondo, sosteneva l’artista concettuale Joseph Beuys, siamo tutti artisti.
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