È tempo di aprire
lo scrigno di como

Molte cattedrali hanno un “tesoro”, aperto al pubblico, che rivela oggetti preziosi, talora di straordinaria importanza. Non solo cattedrali, si pensi al Tesoro del Duomo di Monza, con i doni della regina Teodolinda, e persino chiese collegiate come S. Lorenzo a Chiavenna, con quel capolavoro di oreficeria medievale che è la Pace di Chiavenna, si fregiano di uno specifico museo. Perché il Duomo di Como no?

Un vero tesoro si è conservato e non è stato che in parte rivelato. Si tratta dell’Urna Volpi, un oggetto d’argento sbalzato con scene della vita di Maria, cui la cattedrale è dedicata. Su commissione del vescovo Giovanni Antonio Volpi fu realizzata nel 1586 come dono alla cattedrale.

Quell’urna avrebbe dovuto raccogliere le più importanti reliquie che la basilica conservava, e rimanere sigillata. Possiamo affermare che in momenti diversi quell’urna fu invece aperta per inserirvi nuove reliquie nel 1626, 1641 1780, 1789.

Questo ci dicono le pergamene rinvenute all’interno dopo che l’urna fu nuovamente aperta verso il termine dell’episcopato di mons. Maggiolini, quand’era arciprete mons. Lorenzo Bataloni.

Fu una rivelazione, perché i pochi che poterono vedere quello scrigno aprirsi rimasero abbagliati dalla bellezza di una borsa, vuota, che un tempo dovette contenere reliquie e prim’ancora fu la borsa per le elemosine che un cavaliere medievale portava appesa alla sella. Grazie agli studi della dott.ssa Francina Chiara della Fondazione Ratti il tessuto di quella borsa si rivelò essere un tessuto ad arazzo. Il pezzo è risultato l’unico conservato integro al mondo: ce n’è uno frammentario a Cleveland. Presentato in convegni internazionali è oggetto di studi in corso soprattutto per la tematica raffigurata che sembra identificabile con i personaggi del romanzo medievale, pare Tristano e Isotta.

Con le sue figure di uomini e animali (cavalli, falconi da caccia), basterebbe questo pezzo a giustificare un’esposizione permanente in grado di attirare l’attenzione internazionale di studiosi e del pubblico sensibile alle cose belle. Non è chiaro dove sia stato prodotto questo piccolo arazzo, probabilmente oltre le Alpi, ma che si ritrovi nella città della seta, una città che si propone come capitale della cultura, potrebbe aiutare a rendere meno spericolata la pretesa.

Del resto nell’urna, sotto la borsa, sono stipati diversi altri reliquiari di varia foggia e materiali che saranno presentati al pubblico in una serie di conferenze, in cattedrale, nel prossimo mese di maggio.

Quel che si può anticipare è che si tratta di manufatti di arte gotica (XIII-XV secolo), ma anche molto più antichi. Uno degli oggetti più straordinari conterrebbe i capelli della Vergine Maria, un altro le forcine di Maria Maddalena. Il primo, in cristallo di rocca, sembra addirittura anteriore all’anno 1000 ed è a sua volta contenuto in una pisside col coperchio antropomorfo, di cultura romanica. Avremo occasione di ritornare sull’argomento.

L’istituendo Tesoro del Duomo renderà godibile la quadreria Gallio, ora parte in palazzo vescovile, parte nella Sacrestia dei mansionari, ed anche i migliori stendardi, oggi poco visibili in Duomo, parleranno della storia artistica e religiosa comense. Non solo gli oggetti parleranno di sé con la loro qualità estetica, ma il loro significato artistico, liturgico, sociale sarà reso apprezzabile da un apparato didascalico che i moderni mezzi rendono possibile, la cui logica sarà quella di avvicinare il visitatore al Duomo, nella sua realtà monumentale, tanto ricca quanto poco nota.

Ciò consentirà di riunire opere disperse nelle chiese, tra le quali una scultura lignea del Quattrocento, il Crocifisso di San Provino (già a fianco del Duomo in S. Stefano, chiesa distrutta) appositamente restaurato, che verrà esposto in Duomo il prossimo 14 settembre

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