L’unica crescita sicura è l’emergenza. La raccontano le cifre, ma ancora di più i volti che si scorgono agli sportelli di ogni ente in grado di dare una risposta, una forma d’aiuto; a volte, anche solo ascoltare. Storie che si rincorrono in quest’estate sospesa tra aspettative di ripresa deluse e spiragli ancora da mettere a fuoco, aziende che purtroppo non riapriranno a settembre e altre che riescono a proiettarsi avanti con segnali positivi.
Da una parte, c’è la velocità impressa alle richieste della cassa in deroga, avanzate da coloro che hanno bisogno di tamponare la situazione, ancora per un poco, per evitare provvedimenti disperati e respirare nell’afa dell’economia italiana. Dall’altra c’è una lentezza, che non solo non sembra convertirsi in parziale accelerazione, bensì riesce addirittura a frenare di più.
Questo almeno è quanto si percepisce, oltre alla consueta distanza del mondo politico. Che sta discutendo di molto, se non troppo, trascurando l’essenziale. Che mobilita piazze reali e virtuali, tuttavia non riesce a cogliere come stia riuscendo nell’incredibile impresa di allontanarsi ulteriormente dalle necessità del Paese in questa fase tuttora drammatica.
Basterebbe poco, per fermare questo distacco in apparenza inesorabile. Per dirla con Tarpini, segretario della Cgil di Como, «se la politica smettesse di parlare di sé e si occupasse dei problemi degli uomini in carne e ossa che stanno soffrendo, sarebbe un colossale passo avanti». Lo avvertono e lo ricordano i sindacati, come pure le aziende, che non sanno capacitarsi di come ogni volta si riesca a trovare nuovi ostacoli, vedi l’ultima follia del Durt, il documento unico di regolarità tributaria.
Regolarità, bellissima parola che vale solo per le imprese, naturalmente. Nei pagamenti e nel rispetto delle norme, senza avere spesso il buon esempio dell’apparato pubblico.
Ma adesso l’allarme è la cassa in deroga, che sembrava rientrato almeno parzialmente dopo il sì ai fondi e in particolare l’accordo con la Regione, decisa ad anticipare i soldi (operazione effettuata anche sul fronte dei pagamenti dei crediti).
Restano tagliati fuori però gran parte dei lavoratori, e questa è l’emergenza numero uno dichiarata dai dati del primo semestre. L’altra è lo sguardo verso il futuro. Perché facendo quattro conti, i fondi finora emessi non possono indurre a pensare che si tirerà la fine dell’anno. C’è chi vede già nero per settembre, anche perché allora si potrà constatare quante aziende riapriranno dopo la pausa estiva. C’è chi ritiene che si possa tener duro qualche settimana in più.
Solo a Como, tuttavia, restano 10 milioni da trovare dopo questo primo semestre concluso già con 8mila lavoratori senza alcun sostegno economico.
Che cosa può frenare questa macchina infernale che sta correndo su una strada sempre più ostile? La ripresa- sospirano tutti - una ripresa concreta e diffusa. La moltiplicazione di quei segnali che in parte si possono intravedere in alcuni settori, come nel tessile nonostante la recente chiusura di aziende che hanno fatto la storia di Como.
Ma resta quella lentezza che mette più angoscia ancora di mille scossoni economici a livello globale. Se persiste nel mondo politico e negli enti che si confrontano con le aziende ogni giorno, è evidente che la ripresa potrà anche mettersi al volante e raddrizzare in parte la direzione della corsa. Ma su quella macchina non ci salirà più nessuno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA