Emergenza: la tragedia
deve far riflettere
La tragedia deve
far riflettere

Quasi in ogni tragedia ci sono due facce di una stessa medaglia. Quella in cui vengono coniati il destino della vittima e il dolore della sua famiglia, e l’altra dove si respira il dramma di chi non poteva sbagliare, e invece ha sbagliato.

La morte di Diego Albonico, che ha chiamato il 112 per un mal di schiena ed è morto in attesa di un’ambulanza mandata all’indirizzo sbagliato, non fa eccezione. E al dramma dei genitori dell’uomo fa da contraltare quello dell’operatrice della centrale unica di emergenza dell’Areu che ha confuso il nome di due vie. Questa moltiplicazione di dolore impone grande equilibrio nell’analizzare i perché di una tragedia molto probabilmente evitabile.

Lungi quindi dal voler caricare la croce sulle spalle di un’operatrice che nella sua carriera ha risposto con successo a migliaia di richieste di soccorso, non è però possibile esimersi da una riflessione seria e senza ipocrisie su un sistema già criticato.

La storia del numero unico di emergenza 112 è tormentata, ed è figlia dell’ennesima tirata d’orecchie - con tanto di multe salatissime - all’Italia da parte dell’Unione Europea. In tutto il continente quando si ha bisogno di polizia, ambulanza, vigili del fuoco si compone il 112. In Italia no. Nel Paese della complicazione degli affari semplici i numeri d’emergenza affollavano le rubriche telefoniche. Riuscire a partorire un’unica centrale per le emergenze non è stato semplice. Di questo va dato merito all’Areu. Ma l’idea iniziale era di una centrale interforze provinciale, dove polizia, carabinieri, 118 e pompieri fossero in grado di lavorare gomito a gomito. Idea naufragata - ma nessuno lo ammetterà mai ufficialmente - davanti a gelosie, calcoli politici e mal di pancia. Questi sì interforze.

L’alternativa è stata la cosiddetta centrale “laica”, dove a rispondere sono operatori non appartenenti ad alcun corpo di polizia né a enti di soccorso o di protezione civile. Per ridurre i costi questa centrale, le province di Como, Lecco e Varese sono state accorpate. E gli operatori rispondono da Varese. E qui scatta la prima critica. Un operatore del 118 di Como ben difficilmente avrebbe scambiato via Castel Carnasino con via Masino (com’è avvenuto) e, quindi, con via Masia. Dopotutto è inevitabile che un servizio d’emergenza territoriale, quando è davvero sul territorio, sia in grado di gestire meglio le informazioni degli utenti. Per ovviare in futuro a errori analoghi le domande sulla provenienza della chiamata verranno, d’ora in poi, fatte due volte. Circostanza che ha spesso causato malumori tra utenti che, già in ambasce perché coinvolti in una situazione d’emergenza - altrimenti non chiamerebbero certo il 112 - vivono come una clamorosa perdita di tempo la moltiplicazione di quesiti fotocopia.

Ma esistono due ulteriori punti di debolezza di un sistema che non riesce a convincere, nonostante indubbi miglioramenti tecnologici, come il software di geolocalizzazione che consente di individuare un utente anche quando lui stesso non sa dove si trova. Il primo è un rischio che si corre - ad esempio - in occasione di maltempo con allagamenti e alluvioni, quando le telefonate per i pompieri diventano così tante da intasare il 112 e far da tappo ad altre emergenze. Il secondo è legato a una gestione rigida della divisione del territorio tra polizia e carabinieri, che - come denuncia il sindacato di polizia Sap - rischia di non offrire la migliore risposta possibile. Anzi.

La speranza è che quanto avvenuto lunedì contribuisca ad aprire una riflessione e, di conseguenza, spinga chi di dovere a non arroccarsi su posizioni di principio. La caccia alle streghe è sbagliata, ma la politica dello struzzo sarebbe un errore imperdonabile.

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