Ora che ha doppiato con una certa non nascosta serenità il traguardo dei suoi primi cento giorni di governo, siamo certi che Enrico Letta non ce lo farà pesare.
Non sarebbe da lui: il giovane Enrico è uno che chiede sempre permesso quando entra in una stanza, dice compitamente buongiorno e buonasera e lascia il passo alle signore. È il bravo ragazzo della porta accanto, quello al quale potresti affidare il più discolo dei tuoi figli perché gli spieghi un po’ di matematica, e che soprattutto non ingombra, non disturba, non pesa. Ma c’è. C’è sempre. Questa è la sua democristianità più intima e più radicata: essere graniticamente persuasi in cuor proprio di rappresentare la persona che ci vuole al momento giusto ma senza che questo debba apparire una vanità o peggio una prepotenza. Per dire: tutto il contrario di Berlusconi o di D’Alema, due esempi non a caso, due che pensano di essere la persona più giusta al mondo e te lo fanno pesare fino all’ultimo milligrammo. Infatti né l’uno né l’altro sono democristiani.
Letta ha lanciato vagiti democristiani sin dalla culla. Un po’ come lo zio Gianni, ramo abruzzese della famigliona del cui ramo pisano Enrico fa parte e conta tra i congiunti professori d’università e notai: buona borghesia colta e cattolica, zona sinistra democristiana, un po’ Moro un po’ Montini per intenderci. Con una vocazione istintiva alla politica, all’economia e all’aria internazionale, tutte passioni da coltivare non tanto nell’alveo tradizionale dei gruppetti cattolici ma piuttosto in quello dei club che contano per formare la classe dirigente moderna. L’esempio preclaro, anzi un caposcuola, di questa attitudine nel mondo dc di un tempo era quello di Nino Andreatta, l’economista di fama internazionale che consigliava Moro: e infatti Letta di Andreatta diventò ben presto l’allievo, poi il pupillo e l’assistente. Accanto al professore, l’esordio nella politica per lui fu di gran lusso, segretario dei giovani democristiani europei a soli 24 anni, ma – attenzione - eravamo solo al riscaldamento pre partita per la giovane promessa andreattiana. La vera carriera cominciò a trent’anni quando Ciampi ministro del Tesoro nel 1996 lo chiamò a far parte del comitato per l’Euro, e scusate se è poco. Da allora Letta non si è più fermato.
Ecco perché nei panni di presidente del Consiglio a soli quarantasette anni sembra uno che abbia fatto sempre quel mestiere. Tanto che “prima” ci si chiedeva: ma Enrico quando va a fare il capo del governo? Ecco la demo cristianità: arrivare in cima con l’aria di chi è predestinato senza farlo sembrare un allargarsi, casomai qualcuno dovesse invidiare. Certo, per rinviare Letta rinvia, non c’è alcun dubbio: eppure Letta non appartiene alla tendenza più cinica dell’antica arte democristiana del rinvio, quella secondo cui rimandando rimandando i problemi si risolvono da soli o al più marciscono. No, il giovane Enrico non arriva a questa forma di insensibilità alle cose, però è un pragmatico, e si fa una santa ragione di ciò che accade, convinto che nella vita si procede per passettini andreottiani,
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