Lasciamo pure tranquillo l’usuratissimo e citatissimo Giobatta Vico. Ma è palese che la storia si diverte a ripetersi sia pure adeguandosi al contesto. Se si parla di un importante e ingombrante uomo politico messo all’angolo da una congiura di ex fedelissimi orchestrata da Quirinale chi vi viene in mente? Silvio Berlusconi o Benito Mussolini? Perché la decadenza sancita ieri da Senato è solo il pugno del ko per un vecchio pugile giunto già suonato all’ultimo giro di ring. Per restare al parallellismo storico può essere paragonata all’arresto e al confino del Duce. Con la differenza che nessun tedesco restituirà a Silvio la sua agibilità politica come fece Hitler con l’alleato. Anzi, nel caso del Cav, i tedeschi fanno la parte degli angloamericani e un ruolo nella caduta dell’ex premier ce l’hanno avuto eccome.
Inutile evidenziare come i neoforzisti (fatto salvo il diverso contesto storico) molto abbiano in comune con coloro che decisero di seguire Mussolini nella tragica e grottesca avventura di Salò. E che il governo Letta sia un esecutivo di emergenza come fu quello presieduto dal maresciallo Pietro Badoglio e teleguidato (ma guarda un po’) dal Quirinale. Almeno fino all’8 settembre.
Del resto in Italia tutti i cicli politici che vedono un partito cesarista come protagonista sono soliti durare vent’anni. Non a caso la Dc, che dopo De Gasperi non ha mai avuto un leader forte abbia retto di più e continui a farlo, anche se in maniera carsica.
Insomma la storia si ripete e si ripetono anche le conseguenze di scelte che, va ribadito, fatto salvo il diverso contesto, sono pagate sempre dai cittadini. Perché la malapolitica che continua a imperversare, l’anteporre gli interessi individuali (con quanti zeri si scrive interessi?) o di parte a quelli collettivi non cesserà con la pur ineludibile decadenza del Cav. Anzi.
Ma domani è un altro giorno. Non un altro governo. Le intese si sono ristrette, ma senza dubbio ora (o per ora) nella maggioranza ci sono più compattezza e stabilità. Non a caso l’omonima legge ha trovato il semaforo verde del Senato proprio dopo il passaggio di Forza Italia all’opposizione. Che l’esito sia tutt’altro che esaltante è un altro discorso. Insomma, visto che devono stare stretti tanto vale che facciano finta di volersi bene. Di certo il governo che Letta presiede camminando sul filo non correrà seri pericoli sino a quando Napolitano rimarrà al suo posto. Con il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea alle porte, poi, una crisi appare ancora più impensabile. C’è un’incognita però che prenderà forma l’8 dicembre (un altro 8 come quello di settembre) quando Matteo Renzi, salvo cataclismi, approderà alla segreteria nazionale del Pd, tappa intermedia della sua corsa verso il traguardo di palazzo Chigi. Il bambino che mangia i comunisti lo farebbe cadere subito il governo per accorciare la sua strada, ma sa che non è possibile per le ragioni di cui sopra. Il sindaco di Firenze però è anche cosciente del fatto che più Letta resta in sella più il percorso da aspirante premier si allunga con l’inevitabile logoramento. Il passaggio di Berlusconi all’opposizione che sarà condotta fuori dal Parlamento, nelle piazze e sui media controllati dal Cavaliere( paradossalmente con Renzi e Grillo è il terzo leader di partito esterno al Palazzo),rischia poi di ripercuotersi sull’immagine di un centrosinistra che sarà costretto ad altre scelte di governo impopolari e certo non potrà risolvere nel breve periodo tutti i problemi legati alla crisi, alla disoccupazione e al peggioramento del tenore di vita degli italiani, argomenti molto sensibili quando si va a votare.. Insomma il rischio per Renzi è di ritrovarsi a una corsa elettorale da condurre a bordo di un’auto ammaccata e spompata. Ecco perché il sindaco di Firenze incalzerà Letta, cercando di separare la sua immagine e quella del Pd dal governo. E ne vedremo della belle. Perché la storia si ripete sempre. E quella della sinistra è fatta di continue divisioni.
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