Come il ventesimo secolo ha mostrato, lo Stato sociale divora una quantità crescente di risorse e chiede sempre nuovi sacrifici a chi produce e risparmia. E così mentre da più parti si ripete che presto – anche per rispettare gli impegni europei in materia di bilancio – si dovrà procedere a un ulteriore aumento dell’Iva (un modo tra i più semplici per incrementare le entrate), già si guarda a come reperire nuovi capitali che serviranno a versare le pensioni, pagare gli interessi sul debito, assumere altri dipendenti. E naturalmente l’attenzione è caduta sulla casa.
Martoriata negli ultimi vent’anni da una lunga serie di tasse e balzelli – dall’Isi all’Ici, dall’Imu alla Tari, e via moltiplicando sigle e normative – la casa è l’obiettivo prediletto di quanti nei palazzi governativi cercano di raccogliere il massimo della ricchezza privata per finanziare il massimo delle iniziative pubbliche. I motivi di questo sono semplici e sono legati, in primo luogo, al fatto che gli italiani amano investire i propri risparmi nell’abitazione e, in secondo luogo, all’evidenza che si può nascondere qualche capitale mobiliare in Svizzera o anche sotto il materasso, ma non si può celare al mondo l’abitazione che si possiede.
La prossima stangata avrà luogo grazie a uno stratagemma, poiché questo incremento della pressione tributaria viene presentato dal governo quale operazione di giustizia. L’idea è quella di “aggiornare gli estimi catastali”, partendo dalla constatazione – difficilmente contestabile – che in molti casi i valori utilizzati per definire il prelievo fiscale sono squilibrati. Case di valore hanno estimi più bassi di case che sul mercato valgono assai di più.
Questo però è il pretesto. Nessuno, infatti, si immagini che avremo una riduzione complessiva della quota di ricchezza tolta ai proprietari. Non sarà così. Una tassazione già molto alta sarà complessivamente innalzata da valori che, nell’insieme, saranno incrementati. Si farà insomma leva sull’invidia sociale per aumentare l’imposizione.
C’è comunque un problema che gli artefici di questo nuovo salasso non hanno tenuto in adeguato conto. La struttura elefantiaca che è stata predisposta per rivalutare ben 62 milioni di immobili (con ben 106 commissioni censuarie, ognuna articolata in tre sezioni) avrà bisogno di almeno 5 anni di lavoro. E poi vi saranno contestazioni e ricorsi, perché vedremo all’opera una macchina infernale che avrà la pretesa di definire oggettivamente qualcosa, il valore di un bene, che come insegna la teoria economica non si può definire in termini oggettivi.
Per giunta, avere colpito in tal modo il risparmio e in particolare quello immobiliare sta causando gravi conseguenze. L’edilizia soffre, le coppie faticano a trovare casa (a causa dei prezzi, alti nonostante la fase di depressione), molti preferiscono andarsene. La gente risparmia sempre meno, perché non intende rinunciare a questo o quel piacere solo per consegnare soldi all’apparato pubblico.
La domanda da porsi, a questo punto, è che ne sarà tra cinque anni di questo Paese se la sua classe dirigente sembra determinata soltanto ad aumentare il prelievo. Speriamo che qualcuno comprenda che bisogna muoversi nella direzione opposta.
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