Quando la magistratura arresta i capicosca la ‘ndrangheta ne nomina di nuovi, come fa l’allenatore di calcio in caso di infortunio del centravanti. Mette in campo la riserva. Semplice, lapalissiano, inesorabile come il tuono dopo il lampo. Parola dell’ex mafioso intervistato ieri da Stefano Ferrari a proposito dell’ultima operazione in provincia. Non li sconfiggeremo mai, dice. Che la soluzione militare, da sola, abbia i suoi limiti, lo sostengono in tanti e da tanto tempo. La Boccassini può lavorare quanto vuole e con lei il grande partito degli onesti, ma dai tempi del prefetto Mori, del generale Dalla Chiesa o oggi, grandi progressi, tutto sommato, non se ne vedono. Anzi, cinquant’anni fa si parlava soltanto di mafia, ora sulla camorra si pubblicano saggi, romanzi e film, la Sacra corona unita ha conquistato regione immuni dal fenomeno soltanto pochi decenni fa e la ‘ndrangheta ha diffuso le sue metastasi qui da noi.
Nel frattempo la ‘ndrangheta il suo piccolo esercito se l’è fatto. Ai tempi dei Fiori di San Vito, 1994, si parlava di un potenziale di circa ventimila uomini a disposizione delle cosche lombarde. I riti, folcloristici finché si vuole, dimostrano che la panchina dell’allenatore, anche a Como, è decisamente lunga. Pensiamo soltanto ai gradi, distribuiti con maggiore minuziosità di un vero esercito. L’ex mafioso che al nostro giornale ha dimostrato di saperla così lunga, sulle cosche di Como, l’uomo che si è fatto cinque anni di galera, che ancora oggi quando entra nei bar semina il terrore fra gli avventori, era soltanto un “contrasto onorato”, il livello più basso dell’esercito, una sorta di recluta uscita dalla visita e dichiarata arruolabile. Poi c’è il picciotto d’onore, il camorrista, il camorrista di sgarro. Questa è la cosiddetta “società minore”, manovalanza armata dedita a estorsioni, rapine, recuperi credito. Poi si passa alle cose serie. La prima dota è quella della santa, alla quale succedono il vangelo, il trequartino e il quartino. Ancora un passo e si diventa padrini, un altro ancora e si conquista la crociata, con tanto di lama di coltello passata due volte sul palmo della mano. Poi c’è la stella, e poi ancora il bartolo. Poi arriva il mammasantissima. Come “Beppe la mucca”, il capocosca di Giffone che sale al Nord per distribuire le doti ai suoi uomini. Tra Cermenate, Fino Mornasco e Calolziocorte viaggiava in Panda, Beppe la mucca. Non amava dare nell’occhio come i più giovani e i più esuberanti dei suoi. Molto meglio un’utilitaria prelevata da una carrozzeria di Villa Guardia il cui parco-macchine è andato completamente distrutto un paio d’anni fa da un incendio devastante, visto da centinaia di persone e del quale non abbiamo saputo più nulla. Non sappiamo se il carrozziere ha dichiarato ai carabinieri la fatidica frase, se ha detto anche lui di «non aver mai ricevuto minacce». Sappiamo invece che soltanto nell’ultimo troncone d’inchiesta sulla mafia di casa nostra gli attentati e le intimidazioni sono state 500. Moltissime mai denunciate, altre denunciate controvoglia e senza mai fornire un indizio utile per risalire ai responsabili. E’ la famosa omertà che tanto ci indignava quando ce la raccontavano da Palermo e ora invece contagia anche noi.
La verità è una sola e l’ha spiegata bene il «contrasto onorato» che ama le interviste: cominciamo ad avere paura.
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