Evviva il caldo. Non è questa una posizione, al momento, molto popolare. Sarebbe preferibile dirsi sostenitori della Merkel o perfino cugini di secondo grado di Soros. Vi chiediamo, però, un piccolo sforzo, perché lamentarsi per il caldo è facile: le variazioni sul tema, tra l’altro, non è che siano infinite. Apprezzare una bella caldazza è invece cosa per filosofi o quantomeno per gente che non si ferma davanti alle apparenze e, sul bus, regge con disinvoltura perfino il confronto con l’occasionale ascella ferina.
Certo, il caldo “record” (ma perché poi è sempre “record”?) di questi come di altri giorni ha i suoi inconvenienti seri. Primo fra tutti, quello di mettere a rischio la salute dei cittadini anziani e con patologie croniche. Inoltre, sottopone non poche persone a disagi sgradevolissimi: pensiamo per esempio a chi è ricoverato in ospedale.
Riconosciute queste circostanze, niente affatto risibili, sarebbe però ora di ammettere che il grande caldo presenta un vantaggio: quello dell’eccezionalità. In questo, l’afa non è diversa dal freddo pungente, oppure dalle grandi nevicate che ricorrono a distanza di qualche inverno l’una dall’altra. L’eccezionalità di questi eventi li rende memorabili e che un evento si appiccichi alla memoria non è la cosa peggiore che ci possa accadere.
Le notti insonni passate rigirandoci su lenzuola intrise di sudore, così come i passi incerti su marciapiedi coperti di neve o i tentativi disperati, esercitati nella medesima circostanza, di tirar fuori l’automobile dal garage e di risalire una rampa che sembra far parte del set del “Dottor Zivago”, sono estenuanti nel momento in cui li viviamo, ma dobbiamo ammettere, magari allentando un po’ la briglia della fantasia, che pur imponendoci un certo disagio vengono a sconvolgere le nostre abitudini, ovvero a turbare la routine nella quale, animali metodici più di quanto ci piaccia ammettere, finiamo sempre per ricadere.
Il problema della routine è che in cambio di un piacevole senso di sicurezza spalmato sulle nostre giornate esige da noi un tributo pesante, ovvero l’accorciamento drastico della vita.
Le abitudini fanno sembrare giorni, settimane, mesi e anni sempre più brevi. Da bambini il meccanismo della routine non si è ancora innescato: per questo le giornate scorrono lente, una semplice gita sembra un viaggio intorno al mondo, e tra un Natale e l’altro scorre un tempo all’apparenza infinito. Da adulti, al contrario, bruciamo il tempo suddividendolo in segmenti indistinguibili: giornate uguali che vanno in fumo tutte allo stesso modo. Alla fine, resta la sensazione che ogni cosa se ne sia andata in un attimo.
Tutto questo – è vero – sa di psicologia da strapazzo, ma vale forse una piccola riflessione estiva. Di queste giornate di caldo durissimo – al netto delle preoccupazioni per il cambiamento climatico – ci ricorderemo un poco più a lungo di quelle che son filate vie senza avvenimenti - meteorologici o di altra natura - degni di nota. Se il caldo riuscirà a richiamarci alla viva attenzione per le nostre giornate, forse potremo apprezzarlo un po’ di più, o quantomeno disprezzarlo un po’ di meno. Se poi, anche a venticinque gradi, cielo sereno e ventilazione appena apprezzabile, riusciremo a considerare la vita per quell’esperienza eccezionale che è, potremo dirci al contempo saggi e fortunati.
E ringraziare questo caldo, che senza esitazione adesso definiamo “tremendo”, per aver allontanato da noi il rischio di una prematura glaciazione del cuore.
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