Se di rivoluzione si vuole parlare per il nuovo governo Renzi, questa non ha certamente riguardato il fisco.
Nel discorso al Senato vi sono due soli riferimenti. Nel primo, si dichiara che il neo Governo lavorerà alla riduzione “a doppia cifra” del cuneo fiscale attraverso una “seria e irreversibile” revisione della spesa pubblica. Come noto, il cuneo fiscale è l’imposizione che riguarda il lavoro, sia dal lato delle imprese sia dei lavoratori.
Il tema è ampiamente noto e avrebbe dovuto essere una delle priorità già del precedente Governo Letta che,
diversamente, ha sprecato l’occasione investendo tempo e denaro nella riforma della tassazione immobiliare. La riduzione del cuneo dovrebbe avere due effetti: aumentare il reddito individuale e diminuire il costo del lavoro per l’impresa. La vera novità è che la riduzione del cuneo fiscale dovrebbe avvenire attraverso la riduzione della spesa pubblica, anche se sul punto il discorso è stato piuttosto vago.
Il secondo riferimento riguarda i rapporti fra fisco e contribuenti che dovrà assumere «i connotati di una sorta di consulenza che il primo fa al cittadino». Per realizzare tale obiettivo, lo strumento indicato da Renzi è quello della delega fiscale, attualmente in discussione al Senato.
Con spirito costruttivo, mi permetto di suggerire al Governo due spunti di riflessione che consentirebbero di realizzare immediatamente le condizioni per un miglior rapporto fra fisco e contribuenti. Il primo riguarda il rispetto dello Statuto dei diritti del contribuente, che già contiene le regole che dovrebbero informare il rapporto fra fisco e contribuente secondo criteri di correttezza e buona fede. Purtroppo, è lo stesso legislatore fiscale che, in maniera continua e ripetuta, deroga a tali regole, producendo grande incertezza fra i contribuenti e creando ingiustificati privilegi per il fisco.
Il secondo spunto riguarda il c.d. abuso del diritto, ovvero il contrasto di quei comportamenti del contribuente volti a ottenere ingiustificati risparmi fiscali. Ebbene, si dovrebbe affermare in modo netto, come fa la Corte di giustizia dell’Unione europea, che la ricerca della via che consente al contribuente di minimizzare il carico fiscale non è, di per sé, illegittima, ma lo diviene solo in situazioni del tutto patologiche. Ovvero, il risparmio d’imposta è legittimo, l’abuso del diritto è l’eccezione. Ciò cui assistiamo frequentemente, purtroppo, è l’inversione di questo paradigma.
Da ultimo, un rapido cenno al passaggio relativo al Titolo V della Costituzione. Tale Titolo è dedicato all’assetto delle autonomie locali. Renzi intende non solo modificare il Titolo V bensì rendere il Senato un luogo di rappresentanza politica delle autonomie locali. È la strada corretta – più volte già segnalata – per una reale valorizzazione delle Regioni. Se l’esperimento costituzionale delle Regioni è vicino al fallimento, ciò è dovuto a due ragioni connesse: la mancanza, a livello centrale, di un luogo di rappresentanza politica e l’assenza di una vera autonomia tributaria delle Regioni. Solo la presenza di entrambe le condizioni consentirà una vera (ri)partenza del progetto regionale.
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