È una prima firma, perché poi sui frontalieri la palla passa ai ministri per la sigla ufficiale e quindi ai Parlamenti italiano e svizzero.
Ma intanto si può parlare di intesa definitiva: è la parafatura per usare il termine tecnico e quindi dal sapore vagamente spaventoso, raggiunta dai negoziatori dei due Paesi. Tanto è bastato perché sui social network si scatenasse la paura di molti lavoratori sull’effetto che avrà l’imposizione fiscale distribuita tra Italia e Svizzera, specialmente con il passare degli anni. Il timore della fregatura è dietro l’angolo e gli stessi vertici svizzeri nell’annunciare l’accordo hanno sottolineato che questa strada dovrebbe ridurre il desiderio di fare il frontaliere. Il che sembra quanto meno dubbio. Primo, chi varca la frontiera, ha sì la calamita dello stipendio più alto. Ma già incontra una serie di problemi. E quello più evidente è l’incertezza: prima che esplodesse il dibattito su Facebook a proposito della futura imposizione, negli ultimi giorni i vari gruppi avevano ospitato l’amarezza di diversi italiani che avevano perso il lavoro, dalla sera alla mattina. Lo si ritrova altrettanto in fretta, in terra ticinese? Vero, ma a livello psicologico questa situazione ha il suo peso.
Inoltre, non si può dimenticare che la Svizzera è stata definita un grande ammortizzatore sociale: immagine che non fa impazzire i vicini di casa. Ma è anche per la carenza di occupazione in Italia che ci si sposta.
L’accordo ha un merito principale, assicurano i sindacati: ed è quello di mettere le cose in chiaro, di indicare regole, reciprocità, rispetto.
In attesa che la strada venga completata e si capiscano bene anche tempi e modalità dell’evoluzione della tassazione, interessante è però vedere dove ancora una volta si stia giocando la partita. L’accordo raggiunto in queste ore accoglie una richiesta dell’Italia che non lascia spazio ai dubbi: quella di levare le clausole che vengono considerate discriminatorie nei confronti dei frontalieri. Uno è il casellario giudiziale, ma anche il moltiplicatore comunale massimo. Di più, la Confederazione elvetica viene sollecitata a raggiungere un’intesa con l’Unione europea sull’esito del referendum del 9 febbraio 2014. Quello con cui il Ticino aveva scandito il no all’immigrazione di massa. Dopo di che il clima si è via via arricchito di veleni e iniziative di tensione nel Cantone.
Palla al centro tra Berna e Bellinzona, che già non se le erano mandate a dire negli ultimi tempi. Lo stesso casellario giudiziale aveva fatto tuonare la Svizzera. E nelle ultime settimane erano state bruciate tre iniziative ticinesi: tra queste, niente meno che la richiesta di abrogare l’accordo sui frontalieri con l’Italia. Niente da fare, è stato risposto.
La partita è anche interna allo stesso cantone. Come dimostra la recente imposta sui posteggi, la tassa di collegamento. I promotori ne rivendicano la bontà e l’efficacia. Ma a insorgere questa volta è stato il mondo economico e la stessa associazione delle imprese ticinesi ha reclamizzato la raccolta di firme per votare contro.
I frontalieri sono di più, i frontalieri sono anche in posizioni maggiormente elevate. Ma restano preziosi per l’economia svizzera: questo lo sancisce anche e soprattutto il mercato.
Ora si vedrà quale sarà l’esito di queste partite incrociate. Ma anche nei social la preoccupazione numero pare rivolta verso un giocatore comunque presente, la classe politica italiana. Secondo il nostro Governo i frontalieri devono essere equiparati a lavoratori svizzeri -osserva in un post un lavoratore -, allora anche i governanti del Bel Paese dovrebbero essere al pari degli elvetici. Magari come numero, chiosa.
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