Gli statisti bambocci
giocano con i social

La storia della Conferenza di Yalta è nota. Pochi mesi prima del crollo del nazismo, nel febbraio 1945, Roosevelt, Churchill e Stalin si riunirono in Crimea per impostare la spartizione del mondo in blocchi contrapposti.

Una serie di decisioni durissime e tragiche che costituirono il preludio dell’estendersi del controllo sovietico sull’Europa dell’est, dell’esplodere della Guerra fredda e della realizzazione di una struttura geopolitica rimasta praticamente intatta fino alla caduta dell’Urss nel 1991. Una data simbolo. Un crocevia miliare.Un evento unico, nella sua

maestosa catarsi, al quale però, valutandolo ora dopo che il tempo ha fatto cadere il velo dell’attualità che gonfia i cuori ma annebbia la vista, manca un elemento decisivo per ritenerlo veramente storico.

Pensateci un attimo. Rifletteteci bene. Non ci arrivate? Che delusione, è così semplice... L’unica cosa che manca è Roosevelt che tira fuori dalla giacca il suo smartphone e si fa un bell’autoscatto - denominato “selfie” dagli esperti dei social media- assieme a Churchill e Stalin per immortalare la storica firma. E certo. Franklin con la sua simpatica sedia a rotelle, Josif con i suoi baffi da finto cattivo con un cuore grande così e Winston con il suo faccione da Hitchcock che ridono tutti giulivi dopo aver appena smembrato il mappamondo e mandano un post per gli amici di Facebook. E giù faccini che ridono e pollici alzati. So’ ragazzi…

Ora, tutto questo noiosissimo paradosso per porre invece una domanda davvero drammatica, dopo aver visto Barack Obama farsi un autoscatto in compagnia del premier inglese David Cameron e della sciantosissima prima ministra danese Helle Thorning-Schmidt nel bel mezzo dei funerali di Mandela: in quale momento la generazione dei cinquantenni si è completamente bevuta il cervello? Cosa sarà stato? L’odio per i sessantottini? Le vacanze in Spagna nei meravigliosi anni Ottanta? Gli effluvi collaterali di Chernobyl? La fine delle ideologie? Lo sprofondo e la sparizione del Novecento, non solo come data cronologica ma anche come orizzonte culturale, ha creato personaggi totalmente destrutturati, in balia delle pulsioni e del bamboccismo e mille anni lontani dal vecchio mondo nel quale siamo cresciuti. Si può essere anche famosi e intelligentissimi, ma è la vecchia cornice di codici che non esiste più. Forse è addirittura un bene, però questo è il punto.

Insomma, uno che ride e si fa un autoscatto durante un funerale lo si è sempre considerato un cretino. Figurarsi poi se si tratta di un politico. Adesso, invece, se non mandi un post da un reparto di rianimazione ti danno tutti del pirla.

Per l’amor del cielo, non che prima dell’era digitale i funerali fossero tutti immersi nel dolore e nella meditazione sulla caducità dell’essere. Sappiamo come funzionano i cortei funebri. In prima fila, lo strazio inconsolabile delle persone davvero vicine allo scomparso. In seconda, la mestizia malinconica di chi lo conosceva meno bene ma lo stimava e proprio per questo sente il bruciore dello staccarsi da sé di un’altra presenza della propria vita. Più dietro, la compunzione formale ma rispettosa di tutti quelli che ci sono perché non possono non esserci, anche se tutto sommato estranei, per arrivare alle ultime file dove si inizia timidamente a chiacchierare del tempo che fa e dei prezzi che salgono fino a svaccare su questa benedetta Juve, che dai e dai alla fine un rigorino glielo danno sempre. Siamo fatti così, noi esseri umani, costretti dentro una cornice un po’ ipocrita, ma conscia che anche la forma in certi momenti è sostanza.

Diciamoci la verità. Le nuove tecnologie sono formidabili se usate dai nativi, dai ragazzi, dalla nuova generazione che tra poco ci manderà finalmente tutti quanti in pensione, mentre si rivelano devastanti e pagliaccesche quando finiscono nelle mani di chi è nato con il bianco e nero, si è rincitrullito con la peggior cultura catodico-commerciale per poi arrivare all’illlusione di darsi una botta di giovanilismo solo perché manda un tweet o posta una foto.

E il fatto che sia diventato uso comune anche tra i mammasantissima nei momenti più inopportuni rende quasi tenere come il Carosello le barzellette da caserma del nostro ex premier, venuto fuori pure lui, checché se ne dica, dal Novecento più profondo.

È come se il web avesse la forza di tirar fuori da noi adulti il peggio del peggior bovarismo d’accatto, delle più risibili frustrazioni da bolliti in ansia da botox, da Dorian Gray in edizione economica. Da Obama – uno che un giorno ha il dito sull’autoscatto e quello dopo sul pulsante dell’atomica - in giù è il delirio. Manager, grand commis, intellettuali emergenti, damazze, giornalistoni trendy (e usare twitter per dare una notizia, magari?) tutti a regalare all’umanità riflessioni degne di Marco Aurelio: “Oggi è stata una dura giornata: vado a farmi un piatto di pasta”, “Domani pioverà?”, “Thohir non è uno nato ieri”, “Qui è tutto un magna magna”, giusto per fare qualche esempio, senza dimenticare il grande spazio dedicato alla saggezza popolare - “Moglie e buoi dei paesi tuoi” – ai sentimenti più teneri e riposti - “Merry Christmas, trottolino amoroso” - per finire con l’aforisma bipartisan metafora della nazione: “Si lavora e si fatica…”.

Si blatera tanto sul fatto che i politici dovrebbero essere più simili a noi, persone che ci facessero sentire rappresentati e nelle quali potessimo immedesimarci. Niente di più sbagliato. I politici devono essere molto diversi e soprattutto molto migliori di noi. Più intelligenti. Più colti. Più saggi. Più decisi. Più spietati. Così avanti rispetto ai nostri miseri standard da capire prima e meglio e da saper stare al loro posto in tutti i posti. Fare un autoscatto a un funerale e ridersela beati come tre liceali ritardat è una debolezza patetica che può capitare a noi popolo bue, non certo a chi abbiamo votato per risolvere i nostri problemi e non per coprirsi di ridicolo in mondovisione. Che pena. Ci sarebbe da spedirgli un faccino triste…

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